HAVAH, Durante Un Assedio
Se al giorno d’oggi in Italia possiamo ancora parlare di post e wave, forse il merito è degli Havah, l’unica ancora di salvezza in un mare pieno di band che ci galleggiano incerte come tappi di sughero, destinate prima o poi a finire nel livello più basso del dimenticatoio musicale.
Settimana, un album complesso sul tema del tempo, aveva già lasciato pochissimo spazio a dubbi e perplessità sul nuovo progetto di Michele Camorani (Raein e LaQuiete). Se, da una parte, la consequenzialità delle tracce – come quella dei giorni della settimana, appunto – sottolineava lo scorrere inesorabile delle lancette di un orologio incastonato nel cervello, dall’altra i testi di ogni singolo brano parlavano, variabilmente, di noia e apatia che gravano quotidianamente sulla testa e restano lì, come un sottile strato di polvere sui mobili. Nulla di percepibile come personale in senso stretto, quindi. Settimana era piuttosto un parere condiviso in modo unanime su “quanto è piccolo il mondo e quanto in fondo fa schifo”. Durante Un Assedio, invece, viaggia su di un sommergibile dentro un io circondato e oppresso da più fronti. Dopo l’incalzante intro “Numantia” (un synth new wave che potrebbe piacevolmente durare all’infinito), i brani successivi scavano buche profonde nel terreno con testi d’inaspettata durezza, musica concentrata in pochi accordi e batteria predisposta a marcia di guerra. Tra pensieri malinconici, riflessioni sui sentimenti e su relazioni a volte talmente piatte da essere bidimensionali (sulle note distese e quiete di “Pilenai”), dichiarazioni di guerra (A testa bassa non siamo nulla, morire per è un privilegio, “Saipan”) o una resa incondizionata a un sintomo interno che non possiamo buttare fuori (arpeggi carichi d’ansia in “Masada”), le tracce si consumano velocemente come candele accese e si spengono lasciandoti al buio all’improvviso. Le sottili metafore sul conflitto, che si consuma all’interno piuttosto che in una qualche terra di nessuno, proseguono in “Badung” e in “Zalongo” (i cui riff ricordano con nostalgia una certa band inglese con un cantante alto e moro) e trovano un coronamento nei volti squadrati disegnati in copertina dal tatuatore milanese Pietro Sedda. Durante Un Assedio è l’ultima dimostrazione firmata Havah di come la sintesi nella comunicazione – quella che ci eviterebbe un’infinità di scoglionature ogni giorno – est pretiosissimum donum Dei.
Se tutta questa belligeranza non dovesse bastarvi, consigliamo di fare una piccola ricerca storica su ciascuna località, città o fortezza che ha dato titolo ai brani dell’album.
Numanzia, quanto inferiore a Cartagine, Capua e Corinto per dovizie, è altrettanto uguale a tutte per gloria e fama […] Per il che senza mura o torri, solo con quattromila Celtiberi tenne fronte per la durata di quattordici anni ad un esercito di quarantamila; né soltanto si sostenne, ma alle volte batté ferocemente il nemico, e lo costrinse a vergognose convezioni.
Lucio Anneo Floro, Compendio di storia romana