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HATE ETERNAL, Upon Desolate Sands

HATE ETERNAL, Upon Desolate Sands

Gli Hate Eternal non hanno bisogno di presentazioni. Alfiere della seconda ondata del death metal a stelle e strisce, il gruppo di Erik Rutan ha saputo – nel corso di vent’anni di carriera – ritagliarsi un posto di primo piano nel panorama estremo mondiale con dischi sempre azzeccati e non mostrando quasi mai stanchezza compositiva (forse Flames & Fury del 2008): il suo è stato ed è un continuo viaggio nei meandri più bui del death metal, durante il quale s’è cementata una personalità che pochi hanno e riescono a mantenere intatta.

Erik Rutan, lasciati i Morbid Angel nella loro agonizzante esistenza, ha sempre voluto e saputo spingersi oltre. Anche con questo nuovo lavoro gli Hate Eternal non perdono un briciolo di cattiveria, aggressività e la loro ispirazione non sembra conoscere confini. Upon Desolate Sands è il settimo album di una discografia rocciosa e ben salda su canoni estremi, e porta il terzetto ad altissimi livelli, di incredibile bellezza claustrofobica. Poco meno di quaranta minuti dove le sfuriate presenti nei primi dischi si sono rallentate in sulfuree e oscure trame quasi doom, e non manca il groove sanguinolento e marcissimo come in “All Hope Destroyed”. La bellezza di Upon Desolate Sands è la drammaticità che avvolge le canzoni, vestendole di nuove atmosfere sempre più oscure e paurose. Saranno le affinità elettive con i sempre compianti Morbid Angel, ma questo disco potrebbe essere l’incubo sonico che Trey Azagthoth sta cercando di scrivere da decenni: penso alla dissonante e catacombale “Portal Of Myriad”, che descrive l’arrivo sulla Terra di qualche entità lovecraftiana proveniente da qualche Altrove. Non sempre la velocità è necessaria per dare segni di virulenta potenza, infatti i blast beat sono presenti e distribuiti in maniera intelligente, alternandosi a tempi più rallentati: così è nell’epica “Dark Ages of Ruin”. La canzone che dà il titolo all’album è dal canto suo l’apoteosi della maestria compositiva degli Hate Eternal: cinque minuti – ai massimi livelli – di tutto ciò che può essere etichettato death metal. La produzione, a opera dello stesso chitarrista, mette in evidenza ancora di più ed esalta la “freschezza” di Upon Desolate Sands. In definitiva un disco death metal. In tutto e per tutta la sua durata. Dove non sembra esserci nulla di così diverso da un qualsiasi disco di genere, ma la differenza la fanno il cuore, la passione e il vivere sulla propria pelle un certo tipo di musica, che diventa quindi stile di vita. E in Upon Desolate Sands si percepisce. In dosi massicce. Ancora una volta gli Hate Eternal non sbagliano.