HALF JAPANESE, Hear The Lions Roar
Puoi imparare i nomi delle note e come suonare gli accordi che usano gli altri, ma ciò è abbastanza limitante. Anche se ci metti un po’ di anni e impari tutti gli accordi, avrai comunque un numero limitato di opzioni. Se tu ignori completamente gli accordi le tue opzioni sono infinite e potrai avere completa padronanza della chitarra in un giorno.
da “Come Suonare La Chitarra” di David Fair
La band dei fratelli Fair può essere considerata un fulgido esempio di quell’approccio lo-fi alla materia musicale che affonda le proprie radici nella cultura punk e diffonde le sue spore in generi come il grunge e lo shitgaze. Più che il culto della bassa fedeltà, gli Half Japanese professano da quasi quarant’anni una fiducia incrollabile nell’analfabetismo musicale, nella deliberata ignoranza di regole e tecniche applicate alla musica. Certo, nel corso del tempo e degli album pubblicati, grossomodo una ventina, lo spirito naïf degli esordi si è progressivamente affievolito in favore di una maggiore fruibilità, per cui sebbene un certo primitivismo si possa ancora oggi avvertire in loro, siamo anche molto lontani dalla meravigliosa sconclusionatezza di ½ Gentlemen/Not Beasts.
A inizio anni Duemila la band cessa di fatto le proprie attività e il frontman Jad Fair si dedica essenzialmente alle sue realizzazioni artistiche basate su una pittura bambinesca e sul ritaglio, oltre che ad album solisti e in collaborazione: fra essi quelli con altri due illustri “scoppiati” come R. Stevie Moore e Daniel Johnston (con cui aveva già pubblicato un primo disco a fine Ottanta). Nel 2014 c’è stato il ritorno alla grande della band con l’ottimo Overjoyed, primo di tre lp in meno di due anni, a cui si aggiungono varie altre cosette fra cui Bingo Ringo, una vera e propria chicca di ep stampato in edizione purtroppo limitatissima su lacca trasparente: in sostanza la band ha ricominciato di buzzo buono a produrre musica e la voglia di tornare a dire qualcosa sembra essere autentica, a giudicare dal risultato.
Venendo all’ultima fatica dei nostri eroi in bassa definizione, Hear The Lions Roar è uno dei dischi più scanzonati fra quelli degli Half Japanese, ma non per questo trattasi di esercizio banale, anzi presenta una ricchezza strumentale pressoché inedita per la band (ospiti speciali fiati e violoncello). Le chitarre, qui meno sgangherate del solito, fanno da contorno al consueto canto raffazzonato di Jad, ma a rubare l’orecchio sono più che altro le tastierine bislacche, le percussioni e il basso bello ciccione. È in buona sostanza qualcosa di divertente, sembra quasi di ascoltare le canzoncine di uno strampalato programma televisivo per bambini, che, in ragione dell’effetto sortito sui pargoli, chiuderebbe dopo la prima puntata per le proteste delle mamme frastornate. Questa musica è frutto di un’urgenza espressiva lungi dall’assopirsi, che prende forma nel tentativo costante, volutamente maldestro, di cucire assieme le varie parti dei brani. Come dicevo poc’anzi, è percepibile una certa evoluzione degli Half Japanese, una loro progressiva normalizzazione, eppure sembra sempre che la specialità di Jad Fair & soci rimanga il regresso, il ritorno a uno stadio infantile quando non animalesco.