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H. HAWKLINE, Milk For Flowers

Che dire ancora del Galles e dei gallesi? Musicisti in grado come pochi di equilibrare materie popolari e sperimentali in maniera laterale e libera. H. Hawkline, arrivato ormai al terzo album, è il ritratto fatto e finito dell’outsider. Figlio di un presentatore TV, una vita di combriccole, tour e collaborazioni assieme a Cate Le Bon (che qui produce il disco), Tim Presley, Kevin Morby, Devendra Banhart ed Aldous Harding. Dando il latte ai fiori ci regala storie pop acidule come caramelline che fanno strizzare gli occhi. Verve da menestrello, chitarrine arzigogolate il giusto, batterie dritte, tocchi di pianoforte e versi stralunati. Immagini surreali che bloccano Hum Evans (che deve il suo nome d’arte ad una vecchia lenza come Richard Brautigan) come fosse in mezzo alla gente ma, contemporaneamente, su di un altro pianeta. In certi momenti sembra di ascoltare un David Bowie ricascato sul pianeta Terra armato di un’acustica e poco più: casualmente incontra un piccolo popolo che con strumenti desueti lo accompagna all’interno di piccoli locali dove mettono a punto una versione miniaturizzata del barocchismo, elegante e rifinita. Giusto il tempo di abituarcisi e si esce: “Athens At Night” gioca con il glam e con i fari di un cabaret per poi rientrare di nuovo, festeggiando in maniera accorata con bagordi giusti e gioviali. Brano dopo brano il pianoforte prende il sopravvento, dando il ritmo all’orchestrina e lasciando ad Hum lo spazio di ricamare le sue storie tutto intorno, a creare un mondo con regole, traguardi e visioni tutte sue. Un mondo intimo, colorato, da scoprire ascolto dopo ascolto, nascondendosi fra la leggerezza malinconica della banda.