GUSTOFORTE, Quinto Quarto
Il quinto quarto è una terminologia usata nell’arte culinaria della Capitale che serve a definire una cucina povera (sostanzialmente dello “scarto”), ma molto nutriente (interiora di animale utilizzate in vari modi, etc.). Insomma, fuori e dentro la metafora, non si butta via nulla, anche quello è cibo, che vi piaccia o meno (e secoli di storia lo dimostrano). I redivivi GustoForte giocano su questo paragone, certamente ironico, per metterci davanti al naso uno dei lavori più vitali e meno allineati degli ultimi anni. Utile fare una premessa: la band, capitanata da Roberto Giannotti, aveva già da qualche tempo ricominciato a farsi sentire con le ristampe dei primi lavori degli Ottanta, La Prima Volta e Souvenir Of Italy – La Merda Che Fuma, facendoli uscire per la Plastica Marella. Per me, ad esempio, è stata una sorpresa inaspettata (vi confesso che non ne avevo mai sentito parlare). Ora decidono (oltre a Giannotti ci sono Silvia Brunelli, Stefano Galderisi e Francesco Verdinelli) in un certo senso di presentare il “conto”, dimostrando chiaramente che ai tempi (e tutt’ora) c’erano anche loro. Il disco si apre con la title-track, quattro minuti circa di deviazioni free col sassofono impazzito dell’ospite Fabrizio Tamburini, e prosegue spedito verso una forma tanto libera, quanto “disciplinata” nell’impostazione e nel risultato finale, di musica fieramente sperimentale, nelle tracce gemelle “Divino Amore (Con Resilienza Morbosa)” e “Maglianasettanta (Per Nastro Magnetico)”, altra composizione che veleggia sicura in un mare di nero tribalismo. Il secondo lato ospita la lunga ed articolata suite di “Natura Morta In Via Cesare Beccaria 22…”, manifesto-omaggio alla scena artistica romana (nello specifico quella legata alla galleria L’Attico di Fabio Sargentini, molto attiva tra i Sessanta e il decennio successivo) con alla voce Terra Di Benedetto degli Albergo Intergalattico Spaziale (gli appassionati delle musiche più “freak” apprezzeranno). È subito chiaro quanto la band proponga con estrema scioltezza una sua particolare idea di improvvisazione in musica, nella quale istanze avant, folclore ed elettronica si apparentano felici, dando vita ad una sorta di complesso ordito free-rock del quale si può soltanto dire un gran bene. Bentornati.