GRIME
Tra le molte strade percorse di recente in campo estremo, quella dei Grime appare una delle più buie e impervie, priva di luci in fondo al tunnel o di squarci nella coltre di tenebre che la circonda. Con Deteriorate la formazione alza ancora il tiro e costringe l’ascoltatore a una discesa negli inferi che non prevede soste o momenti per riprendere fiato, quasi a testarne la resistenza sulla lunga distanza e sfidarne la voglia di suoni saturi, slabbrati, a tratti persino snervanti. Impossibile per noi non affrontare la bestia faccia a faccia.
Il debutto autoprodotto messo anche su Bandcamp, la ristampa per Mordgrimm, il nuovo disco in accoppiata tra Mordgrimm e Forcefield Records, in mezzo date a valanga e qualche scossa di assestamento… dimentico qualcosa? Come è avvenuta l’affiliazione alla Forcefield Records?
Marco (voce, chitarra): Direi che non dimentichi niente. Il contatto con Tim (che è la Forcefield) è avvenuto un bel po’ di tempo fa, quasi contemporaneamente a quello con Mordgrimm. Avevamo suonato il nostro primo concerto in assoluto come band di apertura per i Cough a Lubiana. Loro avevano fatto uscire il primo LP per Forcefield e hanno parlato di noi a Tim, che ha ascoltato i pezzi del demo e ci ha contattato dicendosi interessato a pubblicare un lavoro futuro. Da lì in poi siamo rimasti in contatto e siamo giunti a Deteriorate.
La prima cosa che colpisce in Deteriorate è sicuramente l’artwork, chi se ne è occupato e come è nato?
Siamo molto soddisfatti dell’artwork. L’artista si chiama Jason Barnett, è texano e ha uno stile molto personale. L’artwork è nato dai pezzi e dall’atmosfera del disco. Abbiamo spedito i brani e i testi a Jason e gli abbiamo detto di lavorare in base a ciò che gli ispiravano. Quello che vedete è semplicemente il risultato di questo.
Ho guardato la copertina e ho pensato alla Relapse e al grind, quindi per me c’è stato come un cortocircuito con la musica, dopo. Voluto? Non voluto? Esiste un filo che unisce grind e sludge nelle vostre teste?
Può darsi, sicuramente ricorda alcune copertine metal di inizio anni ’90. Secondo noi il filo esiste, ed è semplicemente il cercare di fare la musica nel modo più estremo possibile, se poi uno sceglie di rallentare o di aumentare drasticamente i ritmi è semplicemente una scelta dettata dal proprio gusto o dalla propria inclinazione nei confronti dell’estremo. D’altra parte se ci si pensa proprio la Relapse ha pubblicato tranquillamente sia gruppi sludge che gruppi grind e anni fa non era affatto strano che gruppi grind dividessero il palco con bands sludge, death o di altro genere, c’era un rispetto reciproco che andava al di là dei sottogeneri ed è una cosa che è andata un po’ persa. A nostro avviso è un peccato (ed è una cosa molto più accentuata qui in Italia).
Come avete conosciuto musicalmente – cioè non professionalmente, grazie a Deteriorate – Billy Anderson? Quale dei dischi che ha “curato” mettevate e mettete nello stereo?
L’abbiamo conosciuto tutti già quando eravamo ragazzini. Sono davvero troppi i dischi che ha registrato e sono stati fondamentali nello sviluppo dei gusti musicali di ognuno di noi… nel metal underground è una leggenda e ci piaceva l’idea di lavorare con lui. Gli abbiamo mandato un’ email e si è dimostrato subito disponibile.
Siete stati accostati ad Iron Monkey, Eyehategod, Noothgrush, Grief. Come loro e come altri che di recente hanno sviluppato uno sludge-doom marcio all’inverosimile, quasi “necro” (Meth Drinker, Cult Of Occult, Karcavul, Reclusa, Hell, Fistula…), avete radici nella scena hardcore e post-hardcore. Cosa vi ha fatto decidere di virare verso una musicalità così malata e così poco melodica?
Ognuno ci accosta a chi meglio crede, noi abbiamo ascoltato gran parte delle band che avete citato e sicuramente sono state a loro modo un’ influenza per noi (alcune anche no, ma ci abbiamo suonato assieme). Delle nuove leve apprezziamo molto i Meth Drinker, che abbiamo visto suonare all’Heavy Days in Doomtown II a Copenhagen e a Lubiana. Alla fine abbiamo scelto questo genere perché ci è sempre piaciuto ed era un progetto di cui parlavamo da anni, ma eravamo tutti impegnati, appunto, con altre band. Quando finalmente abbiamo avuto tempo per dedicarci a questa musica sono nati i Grime. Non troverete melodia nelle nostre canzoni semplicemente perché è qualcosa che rifuggiamo e non rispecchia le atmosfere che ci vengono più naturali quando componiamo.
Sembrate appunto fregarvene della carica melodica che invece è presente – quasi tradizionalmente – nelle band doom italiane, anche quelle più pesanti (Doomraiser, Abysmal Grief, Zippo…). Vi è capitato di pensarci mentre lavoravate sui pezzi? O non ci avete fatto caso?
Come già detto, la melodia non è qualcosa che ci viene naturale quando suoniamo assieme e tendiamo a mantenere i pezzi il più naturali e istintivi possibile, quindi non c’è perché non ci appartiene. Il doom italiano che menzionate esiste da tantissimo tempo ed è una corrente a sé, alcuni gruppi ci piacciono (Abysmal Grief, certe cose di Paul Chain), ma non corrispondono a quello che volevamo fare. Semplicemente non siamo una band doom.
Speculare alla precedente. Direste di aver contribuito alla crescita di una nuova corrente di musica pesante italica? Blood Red Water, Fuoco Fatuo, Black Temple Below sono alcune nuove band italiane che hanno aumentato il livello di pesantezza mortifera della loro musica, almeno un po’ ispirandosi allo stile che avete seguito voi. Inoltre, il fatto che voi giriate all’estero sembra aiutare la promozione di questo genere tossico anche da noi. Come la vedete?
Aggiungeremmo innanzitutto i Tons a questa carovana, una band che spacca e con cui abbiamo suonato un po’ di volte, dei grandi. Siamo amici dei Fuoco Fatuo, dato che abbiamo avuto occasione di dividere i palco anche con loro e li riteniamo un’ altra band promettente. Sinceramente non crediamo di averli direttamente ispirati né di essere degli ambasciatori della musica estrema italiana all’estero (ci sono gruppi che girano molto più di noi, come ad esempio i The Secret o i Cripple Bastards). Noi tentiamo semplicemente di suonare la nostra musica e di portarla in giro il più possibile sbattendoci e con mille sacrifici che… tutti quelli che lo fanno sanno benissimo come funziona. Tutto qui, niente di speciale. Inoltre suoniamo all’estero semplicemente perché c’è più apertura che in Italia.
Rumore ha pubblicato uno speciale su Trieste & metal estremo, prendendo tre gruppi che in un modo o nell’altro avevano fatto pezzi di strada insieme. Oltre che attraverso certe persone, Trieste (per clima, cultura, situazione economica…) influenza il vostro sound in qualche modo?
Sì, il mare sferzato dalla bora rispecchia il nostro sound. Ah! Ah! Ah! No, non crediamo che Trieste ci abbia ispirato. Con la nostra città abbiamo un normale rapporto di amore/odio, ciò che ci influenza è la musica estrema e la vita che fa schifo, a prescindere da dove la trascorri. Inoltre a Trieste non è che ci sia un movimento di musica estrema, le tre band in questione sono semplicemente composte da amici che condividono passioni e gusti musicali, per il resto rispettiamo di più persone che suonano in band di queste parti che col metal hanno davvero poco a che fare.
Il disco contiene alcuni campionamenti, come quello che apre “Burning Down The Cross”. Da dove sono presi? Siete appassionati anche di cinema o di altre forme espressive oltre alla musica?
I campionamenti questa volta sono stati presi da dei documentari un po’ assurdi, quello in “Burning Down The Cross” parla delle grandi guerre e dell’avvento dell’Anticristo. Ovviamente ci piacciono il cinema, l’arte, la scrittura e altre forme espressive, possibilmente sempre estreme.
Com’è stata l’esperienza del tour con i Cough? E, sempre in ambito del tour della primavera scorsa, com’è il festival Heavy Days in Doom Town di Copenhagen? Se ne sente parlare in rete, ma in Italia ancora poco. Le vostre impressioni?
L’esperienza con i Cough è stata sia musicalmente sia umanamente straordinaria. Crediamo di poter dire con tranquillità che dopo questo tour abbiamo guadagnato quattro amici e speriamo che l’esperienza si possa ripetere in futuro, ci lavoreremo su. Sono una band straordinaria sia sul palco (una delle migliori che circolano attualmente) che nella normalità. L’Heavy Days in Doomtown è stato una bomba, uno dei festival più fighi a cui ognuno di noi abbia mai partecipato (anche da semplice spettatore). Per noi è stato davvero un onore suonarci. L’atmosfera era indescrivibile, un sacco di gente veramente appassionata e solo band strafighe. Daniel e gli altri ragazzi della Killtown Booking in queste due edizioni hanno fatto un lavoro straordinario e, anche a detta di altre band che hanno suonato in altri festival “grossi”, è uno dei più bei festival attualmente esistenti. In Italia se ne sente parlare poco perché non è ancora così mainstream e perché in Italia una manifestazione del genere sarebbe semplicemente impensabile per mille motivi.