GREG FOX + TWASTE, 10/12/2017
Molfetta (BA), Le Macerie – Baracche Ribelli.
“Voglio sentire patapim patapum e basta!”, inveiva Napo (Uochi Toki) ne “I Batteristi”. Immagino non sarebbe rimasto deluso dalla sfilza di “patapim patapum” andata in scena domenica a Molfetta, nonostante le idee radicalmente differenti su quel “basta” del batterista di Liturgy, Guardian Alien e Zs (e tutte le collaborazioni che ci sono state nel mezzo).
Non ho idea di come la pensino in merito gli esordienti Twaste, duo barese – di cui ammetto di non sapere nulla – con all’attivo una manciata di date nel circondario, che ha avuto l’arduo compito di aprire il live di Greg Fox. Sta di fatto che il suo brevissimo set elettronico pareva incardinato sull’impeto quasi tribale dei tamburi live, chiamati a puntellare coltri di samples. Sound interessante, benché acerbo e forse bisognoso di una maggior centratura, e che ha dato il meglio di sé quando i due si sono lanciati in una sorta di disputa tra un denso tappeto di loop ricorsivi dalle qualità ipnagogiche e secchi impulsi percussivi.
Set molto breve anche per Greg Fox, arrivato in Italia per farci ascoltare il suo nuovo The Gradual Progression, di cui si è parlato approfonditamente qui. Coadiuvato da registrazioni per sostituire i musicisti in carne e ossa che hanno contribuito al suo disco, il batterista newyorchese si presenta con la sua “batteria espansa”, dotata di una serie di trigger capaci di convertire il tocco della bacchetta su una determinata zona delle pelli in un suono preimpostato, ampliando le possibilità dello strumento. Forse un po’ penalizzato da una resa acustica complessiva che risaltava eccessivamente il suono della batteria rispetto a tutto il resto, il live di Greg Fox è stato una, appunto, progressione graduale da misteriose esplorazioni fumose tra kraut e Tortoise, oltre che fusion dagli echi ancestrali, fino a rapide fioriture di complesse architetture percussive. Architetture in cui non solo si appalesava la mostruosa precisione del musicista, ma che rendevano palpabile, soprattutto nella parte finale del concerto, un qualcosa che forse nella registrazione su disco è stato messo un po’ in ombra: una sorta di gioia frenetica primordiale, un’espansione sensoriale a colpi di doppio pedale e fitte piogge elettroniche. Il drumming di Greg Fox, sempre mutevole, poliforme, nei momenti migliori non si limita a condurre il gioco, ne costruisce le possibilità di direzione e le dota di espressività. E in ogni caso guardarlo suonare con il suo piglio composto ma furiosamente puntuale è uno spettacolo degno di nota.