GREENTHUMB, There Are More Things
Secondo ep per la formazione di Alghero e nuovo giro notturno tra sludge, doom settantiano, mood sepolcrale e deviazioni su terreni psych e stoner, un blend che permette ai tre lunghi brani di lasciarsi apprezzare per un linguaggio tanto rivolto al tributo di un passato ormai divenuto patrimonio comune, quanto in grado di mettersi in gioco nella ricerca di equilibri propri, dalla cura dei suoni alla scelta di spezie con cui insaporire la ricetta e donarle una sua consistenza specifica.
La voce pulita e dotata di un retrogusto evocativo differenzia i Greenthumb dai colleghi che preferiscono vocals più aggressive e alterate, così da accentuare la linea d’unione con il doom classico e offrire un piglio onirico, quasi epico, fattore che si sposa bene con certe aperture psichedeliche della scrittura e dona personalità al risultato finale. La commistione di approcci e il riannodarsi con certa scena sludge più estrema vengono fuori con particolare forza verso la metà del brano di apertura “The Field”, con un’accelerazione e un aumento del tasso di cattiveria dell’offerta, un cambiamento di passo che non snatura, ma al contempo ribadisce come non si stia parlando di un classico tributo al Sabba Nero, piuttosto di una sua rilettura anche alla luce di quanto iniziato nei Novanta da figli degeneri dello stesso, tra paludi della Lousiana e panorami desertici arsi dal Sole. Tutto allo scoperto, tutto giocato senza barare e nascondere il proprio amore per certi suoni, in fondo rivolto a chi questi ingredienti ama e sa apprezzare, ma anche tutto genuino e privo di sofisticazioni di sorta, con uno spirito diy e appassionato, oltre che il chiaro intento di aggiungere un che di proprio e offrire una lettura in grado di lasciare traccia in chi vi si imbatta. Il risultato è intrigante e lascia intravedere buoni spazi di manovra per un prossimo debutto sulla lunga distanza.