GREAT FALLS, Objects Without Pain
I tre Great Falls da Seattle suonano noiserock: nei Novanta sarebbero finiti su AmRep o poco via, oggi starebbero sullo stesso scaffale dei Ken Mode. Sono sfinenti come la prima incarnazione degli Swans, basta sentire “Dragged Home Alive”, un monologo teatrale tra le macerie. La corsa scomposta che di solito ci si immagina ascoltando questi gruppi comincia subito dopo con “Trap Feeding” e la rabbia di “Born As An Argument” e si inizia pure a capire che il personaggio interpretato (non so se il racconto è autobiografico, mi vien da pensare di sì) da Demian Johnston (voce scorticata e chitarra) è stato da poco mollato, non proprio a sorpresa si direbbe, di mezzo ci sono pure figli e si deve rifare in qualche modo una vita, anche se è riluttante. A questo punto del disco io vorrei già essere il migliore amico del gruppo, perché i miei gusti e i miei guasti sono anche questi. Poi Objects Without Pain, uscito già a settembre, prosegue allo stesso tempo uguale e diverso da prima, nel senso che – anche all’interno dello stesso pezzo – abbiamo sludge e noiserock in quantità, combinazioni e misure diverse, ma sempre ultrapunitivi. Penso che ci siamo capiti, dai.