GRAVENHURST, 12/10/2012
Torino, Blah Blah.
Timido e piuttosto silenzioso, cosi si presenta sul palchetto dell’affollato locale torinese Nick Talbot, meglio conosciuto come Gravenhurst.
Siamo in leggero ritardo, ma facciamo in tempo a seguire quasi per intero il live, che supera l’ora abbondante di esercizio. Nonostante l’ultimo lavoro non ci abbia convinti del tutto, la curiosità di vedere all’opera l’autore di bozzetti intimisti tanto amato dai più attenti conoscitori della materia, ci ha spinti ad arrivare nonostante la stanchezza accumulata durante la settimana. Tant’è, un concerto rilassante come questo faceva proprio al caso nostro, e non ha deluso le pur minime aspettative: all’opera, dunque, pezzi tutti invero brevi, suonati con insistiti arpeggi di chitarra, basso cadenzato, batteria spazzolata con giusta parsimonia (due donne molto concentrate le sue sparring partner) e cipiglio inquieto. Tra le altre vengono riproposte una insolita “Circadian”, dal suono più corposo rispetto all’andamento generale della esibizione; poi dal passato spuntano una “Saints” d’ordinanza (estratta dal precedente The Western Lands), che va segnalata lo stesso. Per arrivare all’intensità di “Bluebeard” (dal lontano Flashlight Seasons), più dimessa e delicata, con voce, chitarra e soli cori. Il finale si fa all’improvviso maggiormente epico ed elettrico con una “Black Holes In The Sand”, che veleggia a vista su un mare di feedback e rumori assortiti creati ad arte dal musicista bristoliano. Chiude “Cities Beneath The Sea” (da Fires In Distant Buildings), canzone degna di venir menzionata tra le cose più leggiadre del concerto tenutosi nella città sabauda.
Talbot (che ha l’aspetto di un nerd pure un pelo polemico) è un musicista di mestiere, conosce il fatto suo insomma, e riesce a rinnovare e reinterpretare con professionalità un songbook corposo, che tante volte su disco si fregia di arrangiamenti decisamente più complessi. Tuttavia può svanire presto la voglia di ascoltarlo, per via di pezzi tutto sommato piuttosto simili tra loro. Al netto di considerazioni personali, però, rimane un musicista da rispettare comunque e da seguire (per chi ne ha voglia, e sappiamo ce ne sono tanti in giro) nelle sue evoluzioni future di maturo songwriter.