GRAVEHILL, Death Curse
Una delle etichette più promettenti nel panorama metal odierno è senz’ombra di dubbio l’americana Dark Descent Records, ultimamente diventata un punto di riferimento per il death metal old school, avendo prodotto gruppi come Morbo, Goreaphobia, Uncanny, Decrepitaph e Burial Invocation. Tra i nomi che fanno parte del suo roster ci sono anche i Gravehill, band californiana attiva dal 2001. Il loro sound è un misto di tutto ciò che è “vecchia scuola” nel metal estremo e unisce death, black e thrash: le influenze più evidenti sembrano essere i Celtic Frost, gli Slayer di Show No Mercy, i Possessed e il primo thrash tedesco, con i Kreator di Endless Pain su tutti. Questo Death Curse è il loro terzo album, il secondo sotto Dark Descent.
A differenza dei precedenti due full length, qui sia la produzione sia il songwriting sono orientati verso un sound più oscuro nel suo insieme, sempre meno thrash. La voce di Mike Abominator verte più sul growl, mentre lo screaming che aveva caratterizzato i precedenti gioca un ruolo secondario. I due nuovi chitarristi, CC Dekill e Hell Messiah sono molto ispirati, ma non reggono il confronto coi precedenti Bodybag Bob e Matt “Hellfield” Harvey (entrambi provenienti dagli Exhumed), di gran lunga più versatili e con molta più inventiva (altrimenti non sarebbero stati negli Exhumed). Il suono delle chitarre è sempre più massiccio, curato e incisivo, ma i riff – mi duole scriverlo – sono un po’ scontati. Buono invece il lavoro del batterista Thorgrimm (il fondatore del gruppo), molto più vario che in passato. La copertina è anche apprezzabile, ma ricorda troppo quella di World Extermination degli eroi del grind texano Insect Warfare, sia per il disegno in sé sia per l’idea di base, troppo simili a quell’album.
Nel complesso Death Curse non è affatto un brutto disco, con alcuni grandi pregi come la produzione, il cui obiettivo di base era quello di ottenere un album che suonasse il più possibile “naturale”, senza trigger o compressioni del suono eccessive. Purtroppo, però, ormai la concorrenza è sempre più spietata, e da quando l’old school è tornato a dettare legge, sono arrivate tantissime formazioni che hanno basato la loro carriera sul raggiungere quell’obiettivo. Nel 2001 i Gravehill erano davvero promettenti, di gran lunga più decadenti ed oscuri di adesso, tanto da essere in grado di riportare in auge il verbo di Tom Warrior molto meglio di tanti altri loro colleghi europei. Concentrarsi più sul thrash, poi, si era rivelata un’ottima idea, almeno fino al precedente When All Roads Lead to Hell, il primo sotto Dark Descent Records. Ora, forse a causa di questi nuovi due axemen e della nuova impostazione vocale di Mike Abominator, il loro sound ha perso mordente, diventando sempre più banale.
Siamo molto lontani dalla bocciatura, ma dai Gravehill è lecito aspettarsi un po’ di più.