GOLEM MECANIQUE, Nona, Decima Et Morta
Nona, Decima Et Morta è il titolo del primo album di Golem Mecanique (Karen Jebane) uscito per Ideologic Organ, l’etichetta curata da Stephen O’Malley per Editions Mego. Nel presentare il lavoro, O’Malley racconta che l’incontro tra lui e Jebane è avvenuto in occasione del festival francese Echoés. La particolarità di questo festival, organizzato nella cittadina montana di Le Saix, deriva dalla sua collocazione atipica. Per poter sfruttare l’acustica del territorio, in questo comune, che conta poco più di cento abitanti, sono stati costruiti dei corni di cemento sui fianchi delle colline. Spingendo infatti il suono in direzione delle montagne, queste architetture restituiscono una caratteristica risonanza naturale. Durante Echoés gli artisti sono invitati a impiegare questo set come parte della loro strumentazione, utilizzando il paesaggio nella loro performance. Non è difficile capire perché, in un contesto simile, O’Malley abbia descritto l’esibizione di Golem Mecanique come una sorta di portale in grado di condurre a un’era mitologica, o a una visione pre-rinascimentale del tempo. Questa concezione non moderna del tempo, d’altronde, è sottolineata dalla stessa Karen Jebane a partire dal titolo dell’album. Nona, Decima e Morta sono, infatti, i nomi con cui nella mitologia romana venivano chiamate le Parche. Similmente alle Moire greche, le Parche erano rappresentate come tre anziane che tessevano il fato degli umani, decidendone il corso, la durata e la stessa fine. Mentre Nona e Decima erano legate all’inizio del ciclo della vita, prendendo i loro nomi dagli ultimi mesi di gravidanza, Morta ne sovraintendeva la fine. Tenendo a mente questi riferimenti, è possibile notare come la Parche siano al centro dell’immaginario evocato dalle due tracce che compongono questo disco. Sul lato A, il testo segna tanto l’inizio, quanto la fine della traccia, racchiudendola in una forma circolare. Se le prime strofe, recitate da Karen Jebane senza accompagnamento, possono essere interpretate come un’invocazione umana rivolta al mondo ultraterreno delle Parche (We fall and fall/ We cut the Veil/ The Gods forgot / The kind we are / Bring back the Dark/ Our sweet shelter), negli versi conclusivi (So long the Night/ Our path is lost/ The dark has come/ We should be quiet / Mankind forgot/ The Gods we are) la scena è capovolta, presentando la risposta che le divinità riservano alla preghiera. Nell’immaginario delineato da Golem Mecanique il dialogo tra Parche e umani è separato da un intervallo musicale di 16 minuti fatto di drone e variazioni minimali. Questa stratificazione è realizzata principalmente grazie a uno strumento chiamato Boîte à Bourdons (BAB), creato dall’artista e liutaio Léo Maurel. Ispirato allo shruti box indiano, il BAB ricorda esteticamente una viella meccanizzata. La presenza di un motore interno permette di mantenere e ripetere l’accordo suonato, modulandolo grazie a dei cursori che si trovano alle estremità e al di sotto delle corde. La possibilità di modificare in tempo reale ciò che deriva dalla ripetizione degli accordi lo rende particolarmente adatto alle sperimentazioni musicali. In Nona, Decima Et Morta le potenzialità di questo strumento vengono sfruttate per dare vita a delle atmosfere allo stesso tempo arcaiche e spettrali. Nella prima traccia, ad esempio, l’interrompersi della musica coincide con la comparsa delle linee vocali, come se la voce stessa fosse il risultato di ciò che i suoni hanno evocato. In questo senso, la descrizione del lavoro di Karen Jebane fornita da O’Malley assume un ulteriore significato. Nel suo creare mondi ultraterreni, Golem Mecanique continua quella lunga tradizione che, dai miti del Sud America studiati da Lévi-Strauss alla psicofonia di Raudive e Jürgenson, ha visto il suono come un elemento sovrannaturale. Come viene confermato dalle ultime strofe finali della seconda traccia, nelle quali a parlare sono le stesse Parche, riprendere tale tradizione significa fare del suono l’oracolo di un mondo inumano: O sisters why hide ourselves?/ This duty is our sadness/ One is Blind, one is Death/ I’m the Third/ O sisters we deserve rest/ This castle is our harvest/ One is Blind, she’s the Third/ I’m the Death.