GOLDEN HOURS, Golden Hours
Nuova uscita per Fuzz Club Records, etichetta che ogni mese propone nuovi artisti, in barba a ogni crisi economica e artistica. Nel caso dei Golden Hours si tratta però di un ritorno di una vecchia gloria di casa lì a Londra: Hákon Aðalsteinsson, islandese, già con Singapore Sling e Brian Jonestown Massacre, nonché titolare di Gunman & The Holy Ghost, The Third Sound e Diagram. Se avete colto i riferimenti, sapete già cosa vi aspetta: psichedelia classica, adombrata di post-punk, impreziosita dalla collaborazione con Tobias Humble (già nelle recenti incarnazioni dei Gang Of Four), Rodrigo Fuentealba Palavicino e Wim Janssen. Il tutto scorre piuttosto prevedibile e senza grandi sussulti, anche se “The Forgetten One” passa da una ballata newcombiana a un’improvvisa tirata à la Dinosaur Jr. La successiva “Japan On My Mind” propone una dolente nenia dark-wave (ripresa anche in “Dead On”), mentre “Run Man Run” si inerpica su motorik con tanto di sax e “Calling Me Home” torna ai Brian Jonestown di “Methodrone”, poi “Not Enough” spolvera un riff blues-western ambientato in qualche brughiera islandese. I Golden Hours hanno il merito di provarci, a uscire da un certo tipo di cliché, ma all’ascolto la sensazione è che la band passi di palo in frasca, cercando di prendere qualcosa di qua e di là… dimostrazione di come a volte i supergruppi non vadano molto oltre al minimo comune denominatore dei propri termini.