GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR, NO​ ​TITLE AS OF 13 FEBRUARY 2024 28​,​340 DEAD

Fino a una decina di anni fa avevo un rapporto molto diverso con un certo tipo di rabbia: era un intero paese dentro di me che da una parte confinava con la malinconia, dall’altra con il senso di assoluta impotenza che mi mangiava ogni giorno di più, mentre il mondo intorno a me assumeva tinte sempre più fosche. Quel paese aveva come inno nazionale “God Bless Our Dead Marines” dei Thee Silver Mt. Zion, side project dei Godspeed You! Black Emperor partorito dal cervello inquieto di Efrim Menuck, la cui presenza solida, direi marmorea, era comune e fondante per entrambe le formazioni. L’anthem da cantare a squarciagola diceva Get through this life without killing anyone and consider yourself golden.

Sono bastate le prime note di questo nuovo disco dei GY!BE per riportarmi proprio laggiù, a quello sdegno e a quell’impotenza, per farli eruttare come magma bollente fuori dal tombino dove li avevo cacciati in un tentativo maldestro di dissociazione, mentre provavo a mandare giù il boccone amaro del genocidio, delle bombe e dei silenzi. Esattamente come negli anni dell’amministrazione Bush, di Guantanamo, Abu Ghraib, della ricerca ossessiva di armi chimiche e terroristi che ha portato a poco più che un buco nell’acqua costato moltissime morti civili, io e i Godspeed siamo ancora qui, a visitare quella rabbia profonda, quella malinconia per un mondo che sta andando in cenere. Il comunicato che accompagna No Title As Of February, 2024, 28,340 Dead è di poche parole e molta sostanza e racconta proprio delle domande, delle discussioni e delle scelte che sono emerse in studio in questo ultimo, complicatissimo anno.

War is coming. Don’t Give up. Hang on. Pick a Side. Love.

Queste sono le parole che si trovano scritte sulla custodia interna e tracciano un dialogo diretto con i lunghi titoli dei brani, con le fotografie degli elicotteri in volo su Gaza, con i disegni che sembrano piccole incisioni e che contribuiscono a creare un oggetto d’arte completo, parlante già prima dell’ascolto.
Nella sua consistenza musicale, il disco è un fiume carsico che scorre appena sotto la superficie, riemergendo solo a tratti. Suona più ruvido di quello a cui eravamo abituati, l’incedere della melodia è più inquieto, meno lineare. “Raindrops Cast In Lead”, letteralmente Gocce di Pioggia Fuse nel Piombo, è una miniatura perfetta e la sua struttura ipnotica, da inno, che sale e sale e si ferma solo un attimo per poi esplodere in un lunghissimo crescendo acuto, appuntito come una lama, è da tempo la cifra stilistica del collettivo di Montreal. Alla sua cupezza fa da contraltare il finale gonfio di malinconia e speranza di “Grey Rubble, Green Shoots” (Macerie Grigie, Germogli Verdi), che, come da titolo, sembra presagire una rinascita anche per il posto più buio del mondo, grazie alle nuove fioriture sulle rovine. È particolarmente significativo il fatto che sia stata proprio questa la traccia data in anteprima in attesa dell’uscita, il 4 ottobre.

I GY!BE si confermano, anche stavolta, quello che sono sempre stati: un gruppo di persone che fanno arte e che vedono il ruolo dell’artista come un posizionamento in cui il compromesso non è uno scenario possibile, il cui destino è quello di una Cassandra con gli occhi più aperti degli altri, rivolti verso un futuro doloroso e incontrollabile che cerchi, ogni volta, di descrivere l’indicibile senza però perdere un ultimo afflato di speranza.