GO DUGONG & WASHÉ, Madre
Uno dei sintomi del progressivo allontanamento di questa società dalle sue radici, rendendosene forse conto, è la sempre più forte e costante narrazione di una natura amica cui affidarsi, nella ricerca spasmodica di un contatto con il nostro io interiore che risieda tra le radici di un albero, ramificate nel fondo di un terreno umido. La natura che ci vuole bene, accoglie, coccola ma nella sicurezza e certezza delle nostre mura domestiche, ben sigillata e pronta all’uso: dalle terre nascoste di un qualche paese di cui non conosciamo la collocazione sulla mappa, dritte in un loft nel centro di una grande metropoli, le radici essiccate e tritate di una miracolosa pianta, che non vedremo mai, per curare la nostra insonnia imperante data dall’iperstimolazione cittadina e del lavorare, esserci, comparire, mai svanire.
Andare incontro alla natura, veramente, è tutta un’altra faccenda, ha tutto un altro sapore, a volte anche amaro e sgradevole, e il rapporto con essa può essere bellissimo ma spesso scomodo, imprevedibile, alienante. Andare incontro alla natura, veramente, significa isolarsi da tutto, restando nell’incertezza di cosa essa stessa vorrà regalarci o toglierci, come una madre che nella nostra educazione decide cosa è giusto ricevere e cosa no. Go Dugong, nella costante necessità di immergersi e farci immergere nelle vibrazioni della terra che diventano poi suoni, folclore culturale e musicale, lascia i suoni della sua Taranto – vedi Meridies, l’ultimo disco raccontato sempre in queste pagine – per sbarcare in Venezuela e nella conoscenza fortuita con il musicista venezuelano Washé, grazie ad Hape Collective, sommare le rispettive fascinazioni per gli antichi rituali e canti sciamanici traducendole in canzoni per l’essere umano moderno, in un album in cui gli strumenti tradizionali di gruppi etnici del Venezuela – Wayuu, Uwotjuja, Jiwi e Ye ́kwana – si digitalizzano, vengono sintetizzati ma non privati della loro entità e quindi del mistero, della tradizione, del suono della nascita. Tre fasi del risveglio in questo album che portano poi all’incontro finale con la natura: dissonanza, sfida e simbiosi. L’esperienza vissuta in prima persona da Go Dugong e Washé (il musicista venezuelano mi racconta anche di aver di recente suonato l’album per gli indigeni) diventa il simbolo del vero contatto con la propria essenza, attraverso l’interazione con i luoghi mistici e misteriosi della foresta amazzonica, vissuti in condizioni fisiche e ambientali differenti, mai uguali, per restituire a noi la vera esperienza che porta al risveglio. Nel percorso di composizione e concepimento di Madre, insieme a Go Dugong e Washé, la presenza di altri artisti che masticano la “musica esperienziale” (Khalab, Clap! Clap! per l’Italia, Gerry Weil e Miguel Noya per il Venezuela) aumenta il concetto di comunione e condivisione che sta alla base di album come questi, con lo scopo di riunire la comunità umana alle radici dell’esistenza stessa, che non è sempre gentile, asettica, ben confezionata ma sicuramente viva.