GNAW, Cutting Pieces
A quattro anni di distanza dal precedente Horrible Chamber, tornano gli Gnaw con un album se possibile ancor più malato e visionario, forte di vocals che a tratti assumono un tono catartico, quasi rituale. L’impressione è quella di un lavoro più diretto e denso di pathos, più sofferto nel suo ricordare una seduta psicoanalitica o una confessione di qualche serial killer in conflitto con le sue stesse pulsioni. Presa a bordo Dana Schechter (Insect Ark) e convocati come ospiti di lusso Stefania Alos Pedretti e Antoine Chessex, Alan Dubin e i suoi compagni di scorrerie rovesciano sull’ascoltatore una colata di suoni pesantemente manipolati che assumono oggi una forma meno distaccata e asettica, bensì quasi patologica nel suo cercare di dar vita agli incubi dei loro stessi creatori. Brani come “Septic” o “Wrong” acquistano le sembianze di un metal mutante in cui i riff vestono forme deviate eppure pienamente ancorate alle loro solide radici, così da lasciarne inalterato il nucleo all’interno di una struttura ormai irriconoscibile. Dubin ora cantilena, ora rantola e si strazia nel dolore, portando avanti la sua trasformazione in vate di un culto dell’espiazione in un continuo alternarsi di (malvagia) sanità e (palpabile) follia. Si avverte la volontà di dar forma ad una scena dal taglio cinematografico che sia quanto più palpabile e realistica: a questo contribuiscono suoni spessi, corposi, materici nella loro palese ricerca di profondità. Difficile paragonare Cutting Pieces a qualcosa che non sia legato ad un immaginario Noir (cfr. “Fire”), figlio di Ellroy e del suo Jazz Bianco, al cui interno nessun personaggio è esente da peccati nascosti e devianze più o meno palesi, distante da qualsiasi dialettica buono/cattivo, bianco/nero. Qui al contrario sembrano esistere solo il nero e il più nero in una continua discesa negli inferi della psiche umana. In realtà, come dicevamo poco sopra, questo si direbbe anche il lavoro più comunicativo e diretto, più desideroso di esporre la propria anima e per questo capace di staccarsi da una ricerca fine a sé stessa per colpire allo stomaco chiunque si trovi a intralciarne il cammino. Si tratta comunque, vale la pena ribadirlo, pur sempre di un disco radicale e intriso fino al midollo di malsana voglia di forzare i confini dell’estremismo sonoro, per cui va sconsigliato a chiunque non sia già avvezzo a sapori decisi. Per quanto ci riguarda, la prova definitiva di come gli Gnaw siano a tutti gli effetti una solida realtà e non il semplice passatempo di musicisti blasonati in libera uscita. Il consiglio è di ascoltarlo di notte, possibilmente al buio.