GNAW, Alan Dubin
Sono passati quattro anni dal debutto This Face e oggi gli Gnaw tornano con un nuovo album, ancora più malato e disturbante, frutto di una squadra impegnata a decorare, strato dopo strato, la propria camera orribile. Alla voce Alan Dubin, uno che non si è mai tirato indietro quando si trattava di portare oltre il limite la concezione di estremismo sonoro e che ancora una volta scende in campo al momento di andarci giù pesante. Benvenuti nella stanza delle torture degli Gnaw.
Ciao Alan, è passato parecchio tempo da quando ci siamo sentiti per parlare di This Face, ti va di darci qualche aggiornamento. Cosa è successo durante gli ultimi quattro anni e cosa è cambiato negli Gnaw, se è cambiato qualcosa?
Alan Dubin: Prima di tutto, un ciao a te e ai lettori! Da quando è uscito il nostro debutto This Face nel 2009 ci siamo concentrati sull’attività live, con un buon numero di show negli Stati Uniti e in Europa, ma abbiamo anche composto nuovi brani. Dato che molti dei membri degli Gnaw lavorano nell’industria televisiva e cinematografica, ci è voluto un po’ perché l’album fosse completato.
Di sicuro vi siete presi il tempo necessario per comporre il nuovo disco: è stato un processo creativo lungo o piuttosto avete preferito aspettare il momento adatto per tuffarvici dentro? Come vi siete mossi per comporre le nuove tracce?
Abbiamo cominciato a lavorare sulle nuove composizioni nel 2010 e abbiamo trascinato le cose per un po’. Come ti dicevo, anche perché avevamo da lavorare su del materiale per la televisione. Alla fine ci siamo ritrovati insieme e abbiamo creato la maggior parte dell’album nel 2012. Questa volta si è trattato di un processo creativo abbastanza differente, perché, sebbene molti dei suoni (e ce ne sono parecchi) siano stati creati dai singoli membri in luoghi differenti (come era accaduto per This Face), la maggior parte delle composizioni sono stata arrangiate come una band tradizionale, cioè suonando insieme in un’unica stanza. Questo è accaduto grazie alla presenza del maniacale Eric Neuser come batterista a tempo pieno. Dato che è di queste parti, possiamo scrivere, provare e registrare insieme su basi regolari. Il nostro batterista originale (altrettanto incredibile) Jamie Sykes vive a miglia di distanza, per cui la maggior parte delle parti di batteria su Horrible Chamber sono di Eric, oltre a piccoli frammenti ad opera di Jamie. Se ascolti il brano “Vulture” sentirai Eric e Jamie suonare la batteria in contemporanea.
Mentre ascoltavo il nuovo album sono stato colpito dai moltissimi dettagli che convivono all’interno di ciascuna traccia, segno di un’attenzione maniacale per ogni nota e singolo passaggio. Sembra strano, eppure a molti potrebbe apparire come una semplice accozzaglia di rumori, almeno per chi sia abituato ad avere un approccio classico alla musica.
Ci sono così tanti suoni più o meno evidenti che abbiamo creato e piazzato con cura che, a volte, anche io me ne scordo finché non metto le cuffie o alzo a palla il volume. Glitch, voci e altre cose strisciano dentro e fuori dal mix finale, dando maggiore carattere all’effetto stereofonico. Tutti noi abbiamo apportato suoni e rumori ad Horrible Chamber, ma Jun è davvero impazzito questa volta e ha creato una valanga di rumori unici, fuzz, onde sinusoidali praticamente da zero.
Chi suona in Horrible Chamber, ci sono ospiti esterni? Consideri gli Gnaw come una vera band o, piuttosto, come un collettivo?
Gli Gnaw sono, Alan Dubin (cioè io), Brian Beatrice, Carter Thornton, Eric Neuser e Jun Mizumachi. Su Horrible Chamber, io mi sono occupato delle voci e di alcuni rumori/effetti, Brian ha suonato la chitarra, ha composto rumori/effetti e ha missato il disco. Carter ha suonato la chitarra, il basso, il piano, strumenti auto-costruiti e, anche lui, si è dedicato a rumori ed effetti. Jun si è occupato del sound-design e di effetti. Infine, Eric Neuser ha suonato la batteria e ha aggiunto un po’ di rumore anche lui. Abbiamo preso parte tutti alla scrittura e all’arrangiamento del materiale. L’unico guest che abbiamo ospitato sull’album è Jamie Sykes, il nostro primo batterista, che appare insieme ad Eric in alcuni brani. Siamo una tipica band, nel senso che siamo cinque musicisti che scrivono, registrano e suonano musica che nessuno vorrebbe sentire a parte, forse, noi stessi…
Il titolo riflette perfettamente il contenuto dell’album, qualcosa in grado di infiltrarsi sotto la pelle dell’ascoltatore e giocare col suo inconscio. Cosa mi dite dei questa “horrible chamber”, dobbiamo considerarla più un luogo simbolico o un posto reale? C’è un filo che lega i vari brani tra loro?
Per quanto ci riguarda, il titolo Horrible Chamber è la descrizione perfetta di ciò che l’album contiene. Rappresenta lo spirito senza speranza dei nuovi brani. Descrive in modo preciso lo stato mentale che vive chi ascolta l’album se si lascia avvolgere completamente. Non c’è una connessione come una storia che colleghi i vari pezzi ma abbiamo considerato con cura l’ordine per costruire il disco in modo che l’energia e il mood andassero intenzionalmente su e giù per essere digeriti dalla mente dell’ascoltatore. “… it ends like this”.
Molti artisti descrivono la loro musica come un mezzo per confrontarsi con le loro paure più oscure e con la loro natura interiore, in una sorta di auto-analisi/processo catartico. Considerate Horrible Chamber collegato con I vostri fantasmi o è più come un film di cui siete registi e interpreti?
Posso parlare solo per me e per quanto mi riguarda tutto nasce dall’indulgere nella mia immaginazione, che a volte è iperattiva. A livello subconscio, ritengo che certe idiosincrasie personali possano farsi strada in modo non intenzionale in alcune delle storie, ma tendo a scrivere i testi mentre visualizzo cosa rappresentano e cosa potrebbe accadere. Comunque, è tutto molto cinematografico per così dire. Ciò che, invece, è catartico è suonare dal vivo, sia di fronte al pubblico che durante le prove. Urlare può spingermi molto in là ma anche rendermi esausto.
Al solito, linguaggi differenti concorrono per creare uno stile unico e lo stesso modo in cui sono dosati varia di brano in brano. In alcuni momenti si riesce a percepire meglio l’approccio harsh industrial e in altri quello più heavy/in your face. Come descriveresti gli Gnaw a qualcuno che non vi ha mai ascoltati?
È davvero molto difficile descriverlo e, in genere, scoppio a ridere quando qualcuno mi chiede come suonano gli Gnaw perché il primo ad essere perplesso sono io. La prima risposta di solito è: “Gli Gnaw suonano come il fuoco!”. Oppure a volte dico semplicemente: “Non capiresti”. Dipende con chi sto parlando perché molte volte ricevo queste domande da persone che non sono realmente interessate alla musica, figuriamoci a quella eclettica, rumorosa o metal. Odio gli aggettivi che ci descrivono utilizzando termini come metal, noise, dark, experimental, doom, industrial. Suona così stupido. Forse gli Gnaw sono stupidi? In modo molto molto allargato penso che potrei definirci noisy and oppressive metal.
Come siete entrati in contatto con la Seventh Rule Recordings e che mi dite della label, vi va di presentarla ai nostri lettori?
Conoscevo di nome la Seventh Rule da un po’, principalmente per le uscite di Author & Punisher e Indian, ma ho cominciato a prestarle attenzione in modo serio quando il mio amico Fade dei Batilus mi ha detto che stava per far uscire il loro nuovo disco. Sembrava un’ottima opportunità, perché la label stava facendo uscire materiale davvero pesante, rumoroso e originale. Così ne è uscita un’unione perfetta. Scott che la dirige è un titolare super-amichevole e un ottimo sostenitore che fa tutto il suo meglio per le band che produce. Come etichetta ha fatto uscire dei dischi decisamente interessanti come Author & Punisher, Kongh, Atriarch, Eight Bells, Batillus e anche la versione in vinile del classico Stream From The Heavens dei Thergothon. Vi consiglio di seguirla.
Verrete in Europa per promuovere il nuovo album? Che mi dite dei vostri concerti, come vi muovete per presentare il disco dal vivo? C’è spazio per l’improvvisazione o preferite attenervi alle versioni in studio?
A parte i molti concerti negli USA, stiamo lavorando ad un tour europeo con I mitici OvO, che partirà il quattordici aprile. La resa live dei brani, pur nel mantenere la struttura base del disco, suona parecchio differente. Ci piace cambiare il set-up dei nostri effetti e degli strumenti ogni volta, così da mantenere il tutto più interessante per noi. Perciò, lo spettro sonoro cambia di volta in volta. C’è anche spazio per l’improvvisazione all’interno di alcuni dei brani, altra cosa che mantiene alta la nostra attenzione pur senza stravolgere la struttura base dei pezzi.
Parliamo degli OvO, sei apparso nel loro nuovo album Abisso. Come siete entrati in contatto e come si sono sviluppate le cose? Hai già ascoltato Abisso per intero?
Ho incontrato gli OvO quando abbiamo suonato in uno stesso concerto a New York qualche anno fa durante il loro tour negli USA. Credo che siano unici e mi ha molto colpito il loro spirito “primitivo”. Ci siamo scambiati alcune e-mail e ci siamo incontrati nuovamente quando Gnaw e OvO hanno suonato al Supersonic Festival nel 2010. Oltre ad essere musicisti pieni di talento sono anche persone favolose con cui passare del tempo. Così siamo rimasti in contatto e quando mi hanno chiesto se volevo apparire su uno dei nuovi brani ho preso l’occasione al balzo. Il risultato è grandioso e diventa una vera bomba quando verso metà io e Stefania ci occupiamo delle vocals in contemporanea. È un duetto di pura furia. Non vedo l’ora di sentire il resto del disco.
Grazie mille del tuo tempo.
Grazie a te per l’intervista, spero che riusciremo a toccare l’Italia durante il tour per berci una o magari cinque birre insieme. Un saluto anche ai lettori. Per favore, ascoltate Horrible Chamber e sentitevi male. Vedete, non sono una persona malvagia, vi ho salutato.
P.S.: Vi mangerò la faccia!