Gli spettri di casa SØVN Records

Introduzione e intervista a cura di Serena, panoramica sui dischi a cura di Maurizio.

We aim to be an avant‐garde label. We want to publish earnest, reckless, independent music, experimental in character. The genres that best define our interests are: ambient, drone, electronica, electro‐acoustic, techno.

La piccola etichetta con diramazioni in più città del mondo, tra Torino, Marsiglia e Montreal, ci ha colpiti perché sembra avere bene in mente quello che vuole fare ora e da grande: uscite singolari, per lo più in cassetta, con artwork piuttosto affascinanti. Maggiori delucidazioni potrete trovarle nell’intervista più sotto.

I dischi

Ci occupiamo delle uscite, una manciata di produzioni che spaziano tranquillamente da impeti drone, le chitarre aeriformi che contraddistinguono la musica di uno dei fondatori, Andrea Bruera nell’ep Lost, Found, alla musica per pirati di Guybrush, altro socio dell’etichetta, che in That Is Not What I Meant At All se ne esce con tre pezzi piuttosto sinistri, tra il rumorismo disturbante di “And Indeed There Will Be Time” e la cinematografica – pensate a quanto fatto da Howard Shore per David Cronenberg – di “Post Tumblr”. C’è poi la dance modificata del giapponese So Oishi, in arte canopy hoc, che in Playground prova a coniare, riuscendoci in parte, una sorta di exotica dalle tinte robotiche e invero affascinanti (i gocciolii insistenti di “Dust And Plane”), mentre l’elettronica materica di YokoKono (Cristiana Palandri) sa di esercizio torbido e per nulla facile da addomesticare (la prova abrasiva di “Il Nourrit Sa Fragilité”, le variazioni idm di “Le Mystère Cosmique”). Il londinese con base in Olanda Adam Juraszek propone invece delle registrazioni catturate dal vivo, e son dolori: Rendered Environment è una prova stortissima dove pare di sentire la colonna sonora marcia di Blade Runner, tra afrori hi-tech e la malinconia di un robot che si ritrova solo in un paesaggio spettrale. Un bell’incubo. Carlo Maria Amadio sposta invece il discorso verso lidi più regolari, le sue ritmiche – pur essendo marziali – si fanno ascoltare con relativa angoscia, ma Subject To Drift è a suo modo un’interessante raccolta di pezzi dal sapore carpenteriano, si ascolti in particolare il climax di “Dispersion”. Nella tape di Blood Room, Dendera Lite, i ritmi si elevano a standard techno, dritti e marziali in “Cedal Tail (feat. Shehta)”, più destrutturati in “500 Eley Wasp (A I W A Remix)”. C’è poi il suono possente e minaccioso del duo System Morgue & Birtawil – il primo russo, l’altro francese – che in Moea include chitarre ed effetti che portano verso lidi à la Emeralds, ma da un’ottica più metallica e meno kraut. Interessante l’apertura del solo System Morgue, “Moea I”, mentre il socio in “Moea II” se ne esce con una suite più evocativa e meno funerea. Due facce della stessa medaglia.
Più criptico il girovagare ambient-drone di Volkatowicz presents Remschaid, misterioso agitatore elettro-noise che in Reagenwald gioca a mescolare le carte con una certa sicurezza, le fughe distopiche di “Tibet’s Closer”, le spirali industrial di “Void Of Context”. Il veloce e fitto excursus nelle produzioni di questa piccola etichetta prosegue con la creatura del francese Richard Francés, cioè Acid Fountain, nato ad Alicante ma residente a Parigi. In Société Minérale, cassetta peraltro già sold out, fanno capolino pennellate elettroniche perse in strutture cangianti e piuttosto sghembe, già la lunga apertura di “Animal Lament” dice tutto. Chiudiamo con la misteriosa Amelia Devoid, che in Hypogeum mescola vaporwave a tribalismo (in “My Ancestor Died Here”) che pare di intravedere un talento, teniamola d’occhio non si sa mai…

Intervista

Ci sono progetti che ci colpiscono più di altri e in questo caso non possiamo fare a meno di parlare di SØVN, una giovane etichetta che unisce musica e arte, concentrandosi prevalentemente su ambient, drone, elettronica, elettro-acustica e techno.

L’approccio di SØVN è molto particolare: potremmo chiamarla etichetta indipendente, ma non sarebbe una definizione corretta. SØVN è, infatti, molto di più: un collettivo che, in poco tempo, ha saputo portare alla luce piccole gemme che spaziano dalle sperimentazioni di YOKOKONO alle sonorità più oscure di System Morgue & Birtawil, dopo una partenza quasi per gioco, producendo i lavori solisti di due dei tre fondatori (Andrea Bruera e Guybrush).

Ci sono due aspetti di SØVN che mi hanno colpita in modo particolare: il primo è il desiderio di non sentirsi radicati in un’unica realtà geografica, benché l’etichetta sia nata a Torino. Francesco, Andrea e Stefano, infatti, vivono attualmente in tre diverse parti del mondo, un mondo che hanno conosciuto e apprezzato per motivi di studio o di lavoro e che ha permesso loro di entrare in contatto con realtà eterogenee. Queste hanno poi influenzato i loro piani: “Home is the whole Earth”, recita il manifesto.

Il secondo è forse il lato più interessante di SØVN: l’unione di arte, musica e design. Se infatti, in un certo senso, la musica è evocativa, con SØVN l’immagine si concretizza in quanto ogni uscita viene accompagnata dal lavoro di un artista che rende in qualche modo palpabile la visione che sta dietro alla musica stessa. Non solo: ogni uscita ha un packaging particolare, creato ad hoc in stretta collaborazione con il musicista.

La visione di SØVN fa sì che si possa parlare non di un’etichetta, ma di un laboratorio, un “non-luogo” nel quale creare, sperimentare, esprimersi in diverse forme.

Abbiamo quindi deciso di capire meglio cosa c’è dietro, parlandone con Stefano:

La prima domanda è ovviamente banale ma va fatta: come è nato il vostro progetto?

È nato un po’ per caso: siamo tutti amici da molti anni e ognuno di noi ha sempre suonato in band diverse. Una mattina abbiamo deciso che era arrivato il momento di dedicarci alla musica in modo più concreto: da lì è nata l’idea dell’etichetta. In realtà il progetto è molto più vasto: non so se hai letto il manifesto ma quello che ci interessa è creare qualcosa che vada oltre, che non sia radicato in un luogo. Ci piaceva l’idea di legare musica e arte perché sono gli ambienti che conosciamo meglio, ma una cosa era chiara: non volevamo appoggiarci a contatti che già avevamo ma trovarne di nuovi, creare una rete di artisti con i quali collaborare. SØVN alla fine è questo: un laboratorio nel quale esprimersi, fatto da tre amici che abitano in tre diverse parti del mondo.

Parlami del nome, mi ha incuriosita molto: cosa significa e come lo avete scelto?

Il nome è nato col solito imbarazzo di quando bisogna dare un nome a qualcosa: abbiamo stilato una serie di parole che ci piacevano e poi Andrea, in quei giorni, ha visto un film di Von Trier nel quale su una porta si leggeva “SØVN Laboratories”. Subito ci è piaciuto ma era troppo lungo: abbiamo optato solo per SØVN, ci piaceva la parola, il pretesto grafico della O sbarrata e in più destabilizzava molto la  geografia del luogo, non essendo né una parola inglese né una parola italiana.

E il logo, invece, chi l’ha disegnato?

Il logo l’ho fatto io e inizialmente è stato molto contestato. Io in realtà ne vado abbastanza fiero anche se è un logo “sbagliato”: non segue nessuna logica legata al come dovrebbe essere costruito, non è simmetrico, è semplicemente un assemblaggio delle lettere, un simbolo grafico che può essere riconosciuto. Questo fattore era molto importante per noi: ogni nostra uscita, infatti ha la caratteristica di essere accompagnata da una serie di foto o di stampe di qualcuno che creava opere ad hoc oppure abbiamo chiesto noi di poter utilizzare dei lavori di artisti con i quali siamo venuti in contatto. Ci piace l’idea di far emergere non solo colui che suona, ma anche altre forme d’arte più legate alla cultura grafica/fotografica.

Ho visto che gli artisti che avete prodotto non solo sono molto diversi tra loro, ma vengono anche da nazioni lontane, come il Giappone. In che modo selezionate i musicisti che decidete di produrre?

Come ti dicevo, la prima uscita è stata quella di Andrea Bruera e la terza quella di Fra, quindi tra le prime tre, due erano dei fondatori. In realtà abbiamo iniziato ad ascoltare e a scrivere a tante persone tramite Soundcloud, alcune ci hanno risposto, altre no. Abbiamo poi deciso di contattare una persona a cui ormai siamo molto legati, Cristiana Palandri, un’artista milanese e scultrice che ha un progetto chiamato Yokokono. Con Cristiana è stato bello perché l’abbiamo contattata dopo aver visto una sua esibizione al C2C anni prima: non sapevamo neanche se ci avrebbe risposto e invece è nata una bellissima amicizia. Molti invece ci hanno contattati o sono arrivati per contatto diretto: ad esempio So Oishi (in arte Canopy Hoc) è un ragazzo giapponese che ha studiato al Conservatorio di Rotterdam con Francesco ed è stato in un certo senso automatico far uscire un suo disco. Ad un certo punto avevamo finito tutte le produzioni che avevamo programmato e nessuno ci rispondeva ma è successa una cosa molto bella: dopo aver fatto un po’ di showcase in giro, hanno iniziato a scriverci! Quindi da un certo punto è stata una grande soddisfazione, perché alla nostra ricerca s’è sommata la ricerca di altri artisti che volevano mettersi in contatto con noi.

C’è qualche progetto in cantiere in questo momento?

Ora stiamo pensando alla pianificazione del prossimo anno. Ci saranno sicuramente altre tre uscite per il 2017 e ci prenderemo una pausa durante l’estate per organizzare meglio i progetti futuri. Faremo grandi cose. In questo momento come potrai immaginare siamo un po’ incasinati, perché viviamo e lavoriamo in tre città diverse con orari diversi, anche se ormai facciamo tutto su Skype.

E riuscite a organizzarvi bene, pur essendo così lontani?

Beh, una volta è successa una cosa abbastanza divertente: le cassette erano un po’ in giro ovunque tra Parigi, Torino, Marsiglia e Milano, da Cristiana. Ad un certo punto c’è stato un gran casino e non sapevamo più da dove spedire!

Come vedi la scena musicale di cui fate parte?

La cosa più inaspettata di questo progetto è il fatto che questo campo della musica è molto una nicchia: è facile entrare in contatto con le persone e creare dei legami duraturi. Ad esempio, abbiamo fatto uno showcase a Bordeaux e una delle uscite è stata proprio del progetto del ragazzo che aveva organizzato. Si creano dei rapporti umani, si va a suonare, si incontrano persone e si fanno cose insieme. È una cosa a cui teniamo molto, per questo nasce l’idea della residenza, proprio per spingere su questo aspetto.

Vi definite una etichetta d’avanguardia DIY. Mi vuoi spiegare in che modo siete legati a questa sottocultura?

Ognuno di noi aveva rapporti con la musica, ma non avevamo mai avuto un’etichetta. Ogni cosa, dal sito al packaging, è sempre low budget, molte volte le cose sono fatte da noi a mano: una volta abbiamo usato un sacchetto per alimenti sottovuoto per un’uscita. Gestiamo tutto in modo autonomo, sia le pubblicazioni fisiche che l’organizzazione degli showcase. Abbiamo fatto un mini tour per l’italia, è sempre una cosa che parte da noi e che raccoglie i successi e gli sbagli nel tempo. Per quanto riguarda le produzioni, vogliamo stare molto bassi sui costi perché non vogliamo dare scelta: c’è una piccolissima differenza di costo tra l’acquisto in digitale e quello fisico, su cassetta. Cerchiamo sempre di creare packaging strani, ricercati, un po’ per noi e un po’ per l’artista. Questo ha ovviamente un margine di guadagno molto basso ma porta qualcosa in più rispetto ad una produzione industriale, tutta uguale. Uno dei lavori più elaborati è stato senz’altro quello che è stato fatto per Yokokono: Cristiana ha fatto a mano più di 60 copertine, tutte diverse una dall’altra, utilizzando una particolare pasta dorata. Per noi è un valore aggiunto, piuttosto che qualcosa pubblicato in serie.

Ho letto sul vostro manifesto che siete interessati a produrre anche performance, installazioni e in generale qualsiasi forma d’arte che si avvicini alla vostra filosofia. Avete già fatto qualcosa, in questo senso?

Avevamo in mente due progetti che però, per ora, non sono ancora andati in porto. Avevamo un contatto con una galleria di Parigi, volevamo fare un’esposizione unita alla questione della musica, chiedendo a degli artisti di creare installazioni legate ai pezzi dei nostri musicisti. Speriamo di riuscire a concretizzarla nel futuro.

Come vedi SØVN tra un anno?

Da quando Fra è andato in Canada ci siamo un po’ destabilizzati, ma ci stiamo concentrando sulla la prossima stagione: ci piacerebbe trovarci di nuovo tutti in una città e vorremmo impiegare più risorse, prendere uno spazio e creare dei veri e propri studi di registrazione. Vorremmo creare delle vere e proprie residenze per gli artisti e far diventare la nostra etichetta un lavoro. Per ora siamo molto attivi a livello digitale, ma non è quello che vorremmo, capisci? Per noi è molto importante lavorare concretamente, incontrare le persone, costruire qualcosa. Nel frattempo vorremmo portare avanti l’idea di una webzine, una rivista in cui intervistiamo i nostri artisti, facendo scrivere qualche pezzo a qualcuno di fuori su svariati argomenti che riguardano la musica, l’arte, la cultura in generale. Vorremmo fosse un’uscita trimestrale da inviare come newsletter e da regalare in versione cartacea ai nostri showcase.

Bene, vi auguro di poter portare a termine tutti i vostri progetti che mi sembrano davvero interessanti. Continueremo a seguirvi! Lascio a te l’ultima parola per i nostri lettori.

Grazie a The New Noise per lo spazio che ci ha dedicato!

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