GIULIO ALDINUCCI, Real
Ri-racconto la storia: Aldinucci è stato tra i protagonisti di una delle nostre vecchie compilation, quando ancora non andavano di moda le playlist Spotify che le hanno rese quasi anacronistiche. Non era il mio numero 1, ma è quello che poi è cresciuto e si è affermato di più a livello internazionale. Gli ultimi suoi quattro album – per dire – sono su Karlrecords, un’etichetta – sempre per dire – che nel 2021 si è dedicata alla ristampa dei lavori elettroacustici di Iannis Xenakis. Aldinucci ha convinto tutti quando ha proposto una sua rilettura di Hecker (Tim), English (Lawrence) e Irisarri, catturando quello è stato forse uno dei sound-manifesto degli anni Dieci: un’elettronica da ascolto ma emotiva, di grande potenza e debordante in termini di volume, integrata poi con la sua ricerca sugli “spazi sacri” (musiche, voci e paesaggi sonori provenienti da chiese). Tutti i dischi di cui sto parlando sono in grado di far provare quasi fisicamente struggimento, malinconia, tristezza. Real, però, non sembra massimalista come i suoi predecessori, non occupa nello stesso momento tutto lo spettro dell’udibile, e questo lo salva dall’essere solo la replica di quanto già sentito da Aldinucci. Rimangono di sicuro frangenti impattanti e commoventi come “Mythological Void” ed “Every Word, In Summer” e per certo so che chi si procurerà il disco lo farà perché cerca quello, ma è salutare assistere a qualche tentativo di smarcarsi da sé stessi (“Hyperobject A”), ciò che secondo me dovrà a tutti i costi fare in futuro.