GIOVANNI DI GIANDOMENICO & NAIUPOCHE feat. MARCO BETTA, Ensemble / Encore

Ensemble / Encore

Registrato dal vivo ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, un laboratorio crossmediale e spazio polifunzionale dove a dicembre, ad esempio, ho avuto la ventura di vedere una fantastica mostra fotografica su “I migliori nani della nostra vita”, l’ultima scorribanda televisiva della geniale e fallimentare accoppiata Ciprì e Maresco , Ensemble/Encore è il mio primo incontro con Giovanni Di Giandomenico: classe 1993, solidi studi classici alle spalle in Italia e in Europa, un orizzonte ampio di interessi e di progetti che lo vedono far parte del collettivo Almendra Music. Non aiuta molto il lavoro del cronista il sito dell’etichetta, dove si dice che Giovanni “realizza paesaggi sonori immaginari, distopie della memoria in cui immergersi per cambiare la propria percezione del tempo quotidiano; una musica nuova in cui la consapevolezza delle tradizioni classiche, popular e dell’avanguardia del Novecento fiorisce in un mix di spontaneità, rigore, energie e intimità, orientato all’esplorazione del potenziale materico del suono”. Umilmente credo che a volte sarebbe importante trattenersi un poco di più, ponderare meglio le parole, qualche altra addirittura tacere. Ad ogni modo, prescindendo da queste parole, l’impressione è che di avanguardia in questo disco ci sia poco o nulla: un lungo piano sequenza raccolto, piuttosto autoindulgente,  a cui piace specchiarsi in un suono rotondo, pieno, senza ferite né spigoli, abbastanza prevedibile nelle scelte armoniche come in quelle timbriche: l’elettronica di Naiupoche (Luca Rinaudo), che potrebbe e dovrebbe espandere, far deviare, in realtà è didascalica, per cui non si esce mai dal seminato, dalla calligrafia, dalla noia. Peccato perché in realtà l’inizio della traccia pare promettere qualcosa di buono: una sorta di glitch soul che però naufraga subito nell’ovvietà con quei bassi appoggiati, quegli arpeggi, e quei suoni. Questa prima traccia, “Ensemble”, dura 40 minuti ed in una mattina di questi fottuti giorni della merla me la sono ascoltata per intero: un pianoforte languido fino alla lagna, indeciso tra post-rock, new age, neoclassicismo, ondate, maree, uno sviluppo che non regala una sorpresa che sia una (intro ambientale, incipit drammatico con prosopopea pop, rarefazione, pianoforte nudo e crudo, anche se sembra precotto,lunga fase interlocutoria e avanti così, mescolando a piacere gli ingredienti) tutto molto cinematografico, ma per un film da multisala, di quelli che vai a vedere con la morosa per farla contenta, ma lo sai che non è vero amore e che con quella tipa poi tra un po’ vi perderete, perché è giusto che vada così. Perché è giusto che io dica che questo è un disco semplicemente brutto, banale. La seconda traccia ha il pregio della brevità, il pianoforte è suonato a quattro mani stavolta, ma sembra di sentire i dischi di George Winston per la Windham Hill dei primi anni Ottanta; quando ero un ragazzino imberbe (il vostro cronista ha 43 anni) lo apprezzavo e mi emozionavo pure, poi  fortunatamente sono cresciuto, ho capito che le cose interessanti in musica accadevano, e accadono ancora, decisamente altrove. Accadrà anche a Giovanni Di Giandomenico, e speriamo che recensioni come questa, nel loro piccolo, possano aiutarlo.