Giosuè Impellizzeri: Gigolography, DJ Hell e l’electroclash
Ci sono diverse connessioni tra Giosuè Impellizzeri e la Gigolo e siccome “tutte le strade arrivano a Roma”, in qualche modo le loro si incontrano in modo ancora più tangibile in questo libro uscito per la Crac Edizioni. Giosuè scrive da vent’anni, esattamente da quando Helmut Geier aka Dj Hell iniziò a Monaco di Baviera l’avventura della Gigolo Records. Nel 1996 Impellizzeri comincia con le prime recensioni e da quel momento non si ferma più. Nei vari anni collaborerà con portali web (attualmente è su Soundwall) e riviste (Dj Magazine Italia, fino al 2015), mentre sul blog di Decadance attuerà un lavoro da storico/archivista. Tra il 2003 e 2004 cura per Radio Italia Network una striscia quotidiana di informazione discografica. L’esperienza radiofonica si ripete tra 2011 e 2013 quando diventa corrispondente di M2o per una rubrica settimanale. Nel 2007 cura la rassegna musicale del Festival Dell’Innovazione a Roma e nel 2010 fonda l’etichetta Sauroid, che rimarrà in attività sino al settembre del 2013. Tra 2008 e 2015 vengono pubblicati i suoi tre libri della collana Decadance, realizzati con Luca Giampetruzzi e dedicati alla musica elettronica ed alla dj culture degli anni Novanta. Oltre che con l’attività di giornalista, lascia traccia di sé anche come musicista con il nome di Dj Gio MC-505, producendo dal 2002 più di dieci release. Con “Gigolography” possiamo dire che si corona un percorso che sarà sicuramente lungo e – gli auguro – di successo.
Passando al libro in questione, uscito per la coraggiosa Crac Edizioni di Marco Refe, abbiamo un tomo di 256 pagine belle fitte, dove le quattro stagioni stilistiche della Gigolo vengono analizzate e descritte dal punto di vista cronologico, inoltre abbiamo le recensioni delle trecentoquattro uscite dell’etichetta, delle quali, nell’idea originale, questo libro doveva essere la trecentesima. L’approccio di Giosuè alla materia mischia parti storiche a quelle più analitiche in modo da ottenere una visione d’insieme che non è facile creare. Sarebbe stato più semplice scrivere le recensioni come box a sé stanti ma, fortunatamente, ognuna di queste è così ricca di rimandi storici e informazioni che si viene a creare un racconto che non coinvolge solamente l’etichetta tedesca, ma vent’anni di una scena che ha cambiato pelle varie volte e che in diverse di queste è riuscita a creare un successo che ha avuto un eco mondiale, interagendo anche in altri ambiti. Come viene riportato dalla presentazione: Hell è ben più di un semplice DJ, cura la musica per sfilate di Donatella Versace, Yves Saint Laurent ed Hugo Boss. Collabora con Chanel e Levi’s. E’ stato incoronato uomo dell’anno da GQ, sbarca su Vogue, Vanity Fair, Rolling Stone, Flair e Der Spiegel. Ad immortalarlo in alcuni scatti anche Karl Lagerfeld. Recentemente diventa sponsor di una piccola squadra di calcio bavarese e figura tra i futuri curatori del MOMEM (Museum Of Modern Electronic Music) di Francoforte. Forse vi ricorderete di una stagione della musica dance ed elettronica che venne etichettata come “electro”… beh, forse potete immaginare da dove tutto questo ebbe inizio.
Spero di avervi incuriosito con questo cappello introduttivo e lascio lo spazio a qualche domanda che ho rivolto a Giosuè.
Giornalista, dj, divulgatore musicale, musicista. Come hai fatto a mantenere vive tutte queste attività e che cos’è che ti ha fatto iniziare?
Giosuè Impellizzeri: Fondamentalmente ad animare tutto ciò che ho fatto e faccio è la voglia di sapere, di conoscere e far conoscere agli altri cose nuove. Comprai i primi dischi (usati) nel 1992, in scia a tanti coetanei che ai tempi si divertivano a fare i “dj”, però non fu un modo esibizionistico per mettermi in mostra durante le feste di compleanno ma una sorta di vocazione. Da quel momento infatti non avrei desiderato altro che accrescere continuamente il mio bagaglio musicale, comprando nuovi dischi (non necessariamente “nuovi” dal punto di vista della data di pubblicazione) e leggendo quintali di riviste. Il “sapere” mi affascinava, ancor di più il “sapere prima degli altri”. Così, durante l’autunno inoltrato del 1996, iniziai a buttare giù le prime recensioni. Il resto è germogliato in modo del tutto naturale sempre nell’alveo della “missione divulgatrice”.
Quali sono stati inizialmente i tuoi punti di riferimento musicali e non?
Quando ho cominciato a scrivere di musica, nel 1996, non c’era internet o meglio, esisteva ma era molto costoso e riservato davvero a pochissimi, quindi mi affidavo a radio e carta stampata. Ascoltavo Radio DeeJay ed Italia Network, le emittenti più in voga tra i teenager. Il mio però non era un ascolto “passivo”. Appuntavo i titoli ed autori che trovavo interessanti, registravo su cassetta per riascoltare mixaggi e carpire qualche segreto, confrontavo classifiche tratte da più fonti. A livello radiofonico ammiravo Christian Hornbostel ed Alessio Bertallot: il loro modo di condurre, rispettivamente “100% Rendimento” e “B Side”, mi affascinava perché andava oltre la classica menzione del titolo ed autore. Sui magazine invece seguivo con attenzione Vincenzo Viceversa, Mala, Sataniko e Massimo Cominotto, anche se i dischi da loro segnalati erano praticamente introvabili dalle mie parti e con le mie scarse risorse economiche.
Quali sono state le prime difficoltà e quali sono, secondo te, i pregi di una musica che per il grande pubblico potrebbe essere vista come solo di consumo?
Gli inizi, è risaputo, sono duri per tutti. Dovevo guadagnarmi l’attenzione dei caporedattori delle riviste a cui mandavo (per posta o via fax) le mie recensioni o pseudo tali, senza ovviamente avanzare alcuna pretesa di tipo economico. In pochissimi mi rispondevano e solitamente lo facevano in modo negativo, congedandomi in una manciata di minuti perché le redazioni erano già al completo e non cercavano nuovi collaboratori. Anzi, a dire il vero per avere notizie avrei dovuto telefonare io e chiedere umilmente di parlare con un responsabile o qualcuno che, in teoria, avrebbe potuto e dovuto leggere le mie recensioni inviate qualche settimana prima. Iniziai così da una fanzine ciclostilata stampata in poche decine di copie ma ero comunque al settimo cielo. A posteriori ho trovato giusto “lottare” per avere un minimo di spazio. Quando ottieni le cose con troppa facilità rischi di non dare ad esse il giusto valore. Riguardo la seconda parte della tua domanda, ritengo che l’Italia abbia equivocato parecchio sulla musica approssimativamente fatta confluire nel calderone “dance”. Ai tempi della nascita e dell’esplosione della house e della techno, molti critici musicali non furono in grado di decodificare il messaggio lanciato dagli autori di quella rivoluzione, e liquidarono con faciloneria tali spinte rivoluzionarie a banali variazioni della italodisco più smunta figlia degli ultimi anni Ottanta. Del resto non furono d’aiuto neanche quegli speaker radiofonici che non si preoccuparono di tutelare la musica che programmavano, infischiandosene dell’idea che andava insinuandosi nell’immaginario collettivo della dance come banale musica di consumo e, in base alle sue caratteristiche intrinseche, destinata ad un preciso tipo di ceto sociale. I pregi di queste musiche sono destinati pertanto ad essere scoperti ed apprezzati solo da chi ha voglia di andare al di là delle banali convenzioni e luoghi comuni. Mi è capitato più di qualche volta di parlare con chi critica o denigra la techno ma poi dimostra di non sapere neanche cosa essa sia.
Passando alla Gigolo: in che modo hai iniziato a seguire le loro uscite e quali sono state le tue impressioni sul lavoro di Geier?
Ad attirarmi subito, venti anni or sono, furono il nome e il logo. Poi il fatto di ritrovarla con una certa regolarità nelle classifiche o nelle recensioni che consultavo mi convinse ad approfondire. Geier ha riversato nella Gigolo la sua sconfinata cultura musicale, abbattendo i confini tra un genere e l’altro (che negli anni Novanta, soprattutto per noi italiani, erano rigidissimi), supportando nomi sconosciuti ed irrorando il risultato con una sana dose di humor. Tale miscellanea di elementi fece da traino e mi convinse a seguirlo con crescente attenzione.
Inizialmente questo libro doveva essere la trecentesima uscita della Gigolo, come mai ciò non è avvenuto?
Per una serie di concause, in primis l’inattività in cui piombò l’etichetta di Hell qualche anno fa. Dettaglio non meno rilevante è stato quello della lingua, avrei dovuto scrivere in tedesco o inglese, cosa per me non fattibile. Inoltre, non lo nego, c’è stato un momento in cui persi la speranza che il mio lavoro, iniziato a settembre del 2011, potesse prendere forma, quindi mollai tutto. Poi un amico su Facebook, Max Nocco, mi ha fatto conoscere la Crac Edizioni a cui nel 2015 ho sottoposto l’idea e qualche pagina di ciò che avevo scritto negli anni precedenti. Marco Refe si è mostrato subito interessato e mi ha spronato ad approfondire ulteriormente la mia ricerca perfezionandola. L’uscita 300 ormai era già sfumata ma all’orizzonte si intravedeva un traguardo ancora più importante per la Gigolo, il ventennale. Alla fine, comunque, meglio che sia andata così, perché qualcuno avrebbe potuto pensare ad un prodotto frutto del “revisionismo”. Tengo a precisare infatti che il libro non mi è stato commissionato da Hell o dalla Gigolo, e che non è subentrata mai alcuna pressione da parte dell’etichetta tedesca per rimarcare certe questioni o sorvolare su altre. Sono presenti infatti anche numerosi dettagli “scomodi” che garantiscono e testimoniano l’autenticità e la genuinità del mio lavoro.
Come ti avevo accennato privatamente, all’inizio mi sono stupito della quasi totale mancanza di apparato illustrativo e non sapevo che la Gigolo, praticamente, non avesse un archivio. È vero che, una volta che si comincia, la lettura è avvincente e non ci si accorge di questa mancanza… a questo proposito: avete avuto timore che tale fattore potesse fermare un potenziale acquirente che avesse sfogliato il libro in un negozio?
Il secondo capitolo, quello dedicato al focus sul catalogo, avrebbe dovuto contare sulle copertine di ogni pubblicazione. Inoltre il progetto originario nato del 2011 e discusso personalmente con Hell, prevedeva due ulteriori capitoli, uno con una maxi intervista al tedesco stesso, ed uno dedicato proprio alle fotografie. Il primo lo ho sostituito con una ricca serie di interventi sparsi lungo la stesura, il secondo invece non ho potuto realizzarlo in assenza di fonti iconografiche adatte ad essere stampate su carta. Ho rincorso per mesi alcuni collaboratori di Hell che mi avevano promesso sia copertine che immagini di repertorio, ma pare che l’archivio sia andato irrimediabilmente perso durante i ripetuti traslochi. Pensa che pochi giorni fa, paradossalmente, proprio loro mi hanno chiesto una mano per realizzare un album fotografico che verrà esposto durante i festeggiamenti del ventennale al Tresor di Berlino, a metà luglio. Il tutto sarà accompagnato da una mia introduzione. Tornando a Gigolography, non mi andava di realizzare una gallery parziale così, di comune accordo con l’editore, abbiamo optato per un libro senza immagini, cosa che comunque non è così inusuale in tale ambito (mi vengono subito in mente “Energy Flash” di Simon Reynolds, “Superonda” di Valerio Mattioli, “Last Night A DJ Saved My Life” di Bill Brewster e Frank Broughton o “Techno” di Christian Zingales). Per riparare a questa “mancanza” ho creato una Pagina Facebook, dove raccolgo ordinatamente tutto quello che non ho potuto inserire sul libro, da vecchi advertising a recensioni, da fotografie degli artisti a flyer passando per contributi audio e memorabilia.
Anche chi non conosce e apprezza la Gigolo, leggendo la storia delle quattro stagioni si rende conto di quanto sia stata importante questa etichetta. Voglio dire, Miss Kittin & The Hacker, Jeff Mills, Dopplereffekt, DMX Krew, Japanese Telecom, Zombie Nation, Terence Fixmer, Tuxedomoon, Fisherspooner e decine di nomi adesso di rilievo per questa musica, sono passati o hanno iniziato con la Gigolo. Quali sono le cose che apprezzi di più del lavoro della Gigolo e quali meno?
Ho cercato di non lasciar filtrare opinioni attraverso il libro, perché l’intenzione era offrire al lettore uno spaccato quanto più imparziale possibile. Nella musica entra in gioco il gusto personale e su quello non si discute. Non faccio mistero della mia netta preferenza per ciò che avvenne durante la “Schwarzenegger season” e la “Sid Vicious season” coi nomi da te citati, ma cose intriganti emersero anche con il logo della Lepore come il primo Jor-El, -=UHU=- o The Dirty Criminals. Quella dei naked cowboy invece resta a mio avviso la stagione più incolore, prevedibile e fin troppo legata ai 4/4 soprattutto se rapportata ai primi anni di attività. In quel periodo ho avuto il sentore che l’etichetta non stesse vivendo ma sopravvivendo e che Hell avesse persino affidato la direzione artistica a qualcun’altro.
Negli ultimi anni stiamo assistendo a un rallentamento delle uscite. Tu come vedi il futuro per l’etichetta?
Più che un rallentamento parlerei di stop quasi definitivo. Per quasi due anni la Gigolo è rimasta del tutto inattiva e questo la dice lunga. Credo non sia possibile tornare ai fasti di un tempo, ma non per incapacità bensì per obiettivi che sono radicalmente mutati. Quando Hell ha fondato l’etichetta aveva 34 anni e tanta voglia di fare, adesso di anni ne ha quasi 55 e prevedibilmente ha messo da parte velleità imprenditoriali. Poi il mercato discografico (o quel che resta di esso) non aiuta. Inoltre, obiettivamente, non è fattibile cavalcare l’onda in eterno, nella storia tutto ha inizio e fine. Tuttavia la Tom Of Finland season, la quinta stagione partita nel 2013 ma mai sviluppata, potrebbe riservarci ancora qualche gradita sorpresa.
Trovo che gli ultimi due album di DJ Hell siano splendidi: Teufelswerk e Zukunftsmusik riuniscono gli ultimi cinquant’anni di musica elettronica tedesca. Tu cosa pensi di queste due uscite?
Hell vanta una poderosa cultura musicale, ognuno dei cinque album incisi sinora lo ha rivelato in modo inequivocabile. Non sono mai stati “contenitori” di tracce raccolte senza filo conduttore ma basi con concept ben precisi e studiati nel dettaglio. Sto ascoltando Zukunftsmusik da qualche mese, lo ritengo l’album della maturità dell’artista, è evidente che il four to the floor gli stia stretto e che non gli interessi più fornire musica ai soli dj. Questa ridefinizione della dimensione artistico-produttiva era già stata anticipata in parte da Teufelswerk, che lui stesso definì una reinterpretazione della Kosmische Musik, ma se dovessi scegliere l’album più legato all’estetica Gigolo non avrei dubbi nel menzionare “Munich Machine” (Disko B, 1998), una finestra sul pre-electroclash esploso nel mainstream circa tre anni dopo, quando il ripescaggio del passato avveniva ancora in modo creativo.
Penso che questo sia il tuo libro distribuito meglio e che possa farti conoscere da un pubblico più vasto. Cosa ti piacerebbe fare in futuro?
Senza dubbio è quello che può vantare una distribuzione capillare, cosa che purtroppo non siamo riusciti ad ottenere coi tre volumi della trilogia di Decadance. Il mio sogno è lavorare a tempo pieno in ambito musicale-artistico-culturale con progetti didattici di taglio storico. Negli ultimi dieci anni ho cercato di fondere il più possibile la mia passione per la musica, l’arte e la storia (sono laureato in Conservazione dei Beni Culturali) e Gigolography, in cui ho disseminato indizi relativi ad ognuna di queste aree, è esattamente il patchwork dei miei interessi multipli.