Giorgio Valletta (Club To Club, Rumore, Radio Raheem…)
Non solo Club to Club: abbiamo incontrato Giorgio Valletta, dj radiofonico da oltre trent’anni, giornalista musicale (per Rumore sin dal primo numero, ma non solo) e co-fondatore della storica serata torinese Xplosiva dalla quale è nato il festival torinese, tra i più importanti in Italia e in Europa.
Riuscire ad elencare i numerosi progetti in cui è stato coinvolto sarebbe impossibile: una vita dedicata alla musica, iniziata con una passione per i dischi fin da quando era un bambino, e che lo ha visto di recente protagonista di una nuova avventura con la milanese Radio Raheem. Quello che ci ha colpito è la passione che riesce a trasmettere parlando delle attività in cui è coinvolto, portate tutte avanti con acutezza, senza farsi condizionare dalle tendenze del momento ma piuttosto educando il grande pubblico a sonorità sempre nuove, sporgendosi oltre ai diktat del mainstream.
Il tuo è un nome noto nell’ambiente musicale. Ma chi è Giorgio Valletta?
Quel che faccio da sempre, da quando avevo 17 anni, è il dj radiofonico. Qualche anno più tardi ho iniziato anche a mettere la musica nei locali, quindi sono diventato anche un dj da club, come si dice negli ultim tempi! Poi scrivo di musica, quindi, come vedi, ho cercato di fare della mia passione qualcosa di cui vivere e devo dire che il fatto che sia nata l’associazione culturale Xplsosiva, che poi ha iniziato a organizzare Club to Club, è un pezzo molto importante del mosaico che compone le mia vita.
Quando è stato quindi il tuo primo incontro con la musica? Ci sono stati dei momenti di “svolta” che ti hanno fatto capire che avresti lavorato in questo ambiente?
Devo dire grazie a mia madre che aveva la passione per la musica leggera e mi ha contagiato da quando avevo 4 anni. Ho dei ricordi di me da bambino che volevo comprare dei 45 giri per ascoltare le canzoni che più mi piacevano! Se devo pensare a dei punti di svolta in cui mi sono innamorato ancora di più della musica, mi piace citare in generale il periodo della disco music, ma in particolare le produzioni di Giorgio Moroder: “I feel love” di Donna Summer, estate del ’77, mi ricordo precisamente di aver comprato quel disco in vacanza al mare ed è stato uno shock, perché suonava come niente d’altro prima di allora. Andò al primo posto in classifica in Italia: fu una cosa incredibile, come se oggi succedesse con FKA Twigs!
Poi ci sono stati i Talking Heads, la new wave in generale, l’hip hop e l’house music. Tra l’altro voglio dire grazie, e ci tengo in particolar modo, a una delle persone con cui è nata l’associazione: Roberto Spallaci. Nella seconda metà degli anni Ottanta faceva il dj a sua volta come parte della Latin Super Posse e lanciò la prima serata dedicata alla musica house a Torino in un locale che oggi non esiste più e che si chiamava Studio 2. Parliamo dell’86-’87: la musica house mi ha cambiato la vita perché proprio da quegli anni abbiamo iniziato a pensare di poter espandere quei suoni, di poterli portare ad un pubblico più ampio.
Parlami allora di Situazione Xplosiva: inizialmente era il nome di una serata, giusto? Come si è evoluta poi in Club to Club?
Nei primi anni Novanta io e Sergio Ricciardone mettevamo già dischi insieme da un paio d’anni, ma eravamo per lo più legati all’indie e al fenomeno del brit pop. La formula iniziò a stufarci e così abbiamo pensato: perché non proviamo a fare una serata dove far ballare al pubblico l’elettronica di “contaminazione”? Quindi ci riferivamo a tutta quell’ondata del big beat che in quegli anni stava cambiando il volto della musica, soprattutto d’Oltremanica, con artisti come i Chemical Brothers o Fatboy Slim. Questa serata si chiamò Xplosiva. Il discreto successo ci portò a sviluppare un progetto che cominciò ad ospitare artisti stranieri a partire dal ‘97. Tre anni dopo, con l’arrivo di Roberto Spallaci a darci una mano a livello gestionale, nacque l’idea di creare un’associazione culturale per portare avanti progetti di più ampio respiro. Mentre le serate Xplosiva proseguivano, iniziammo a sperimentare l’idea di un mini-festival, sviluppato su vari locali torinesi, ma con un unico biglietto: da lì nacque il nome Club to Club.
Quando vi siete resi conto che il progetto avrebbe potuto espandersi?
Anno per anno: è stato un processo graduale. È nato come un esperimento e abbiamo cercato di renderlo sempre più grande e consistente. I riscontri c’erano e il pubblico ci seguiva sempre di più, dall’altro lato noi ci mettevamo sempre più impegno e investimenti dal punto di vista economico. È stato un processo senza grandi stacchi ma forse il punto di svolta è arrivato con l’edizione del 2010: buona parte degli artisti proponevano dei live e quindi iniziavamo a distaccarci dalla logica del dj set. Abbiamo captato fenomeni che stavano crescendo ma che ancora non erano mainstream. Nonostante questo, eravamo riusciti a fare 25-30.000 ingressi e in più eravamo arrivati ad organizzare l’evento in sedi istituzionali: nonostante il festival non si svolgesse più nei locali, abbiamo mantenuto il nome ma eravamo finalmente riusciti a proporre un evento musicale in luoghi non deputati alla fruizione di questa forma d’arte.
Penso che una cosa che emerge dal vostro festival sia una chiara componente educativa. Mi sembra che nel corso degli anni abbiate puntato molto su artisti che valicano un po’ i confini e le aspettative di chi è più orientato a sonorità mainstream.
Sì, è sempre stata una nostra prerogativa, Sergio condivide perfettamente con me questa visione, anzi, lui a volte si spinge ancora più oltre ed è sempre attento a spostare l’asticella un po’ più in alto ogni volta. Ovvio che è una scommessa, perché da una parte rischi di alienarti il pubblico che si aspetta qualcosa di più mainstream; dall’altra parte ci teniamo a conquistare altre tipologie di pubblico, ma devo dire che i numeri ci hanno dato sempre ragione e anche il nostro modo di comunicare e di coinvolgere sta facendo sì che il festival si stia spingendo molto oltre i confini torinesi. Nell’ultima edizione oltre il 40% del pubblico veniva da fuori, il 10% dall’estero. Questo è ovviamente un dato molto prezioso e incoraggiante.
A proposito dello spingersi fuori dai confini, ho visto che ultimamente state strizzando molto l’occhio a Milano. Non solo: state organizzando festival in tutta Italia, come ad esempio il Viva! La vostra idea è quella di espandere il formati di Club to Club in Italia e all’estero?
Da anni, nella storia di Xplosiva, addirittura da prima che nascesse C2C, strizziamo l’occhio a Milano: io e Sergio siamo stati resident dj ai Magazzini Generali di Milano, esattamente dal 2000 al 2003. È una piazza fondamentale in Italia e devo dire che negli ultimi anni si sono di nuovo intensificati gli eventi che organizziamo là, ci abbiamo rimesso piede in modo più insistente perché la risposta del pubblico è ottima e perché lì abbiamo la possibilità di organizzare con numerosi partner, cosa che a volte Torino non offre.
Sicuramente la nostra idea è quella di espandere il più possibile il nostro format, lo è sempre stato, non sto a dirti tutte le cose di cui ci siamo occupati con l’associazione nel corso degli anni, abbiamo organizzato eventi in tutta Itala ed Europa. Lo stesso C2C ha avuto per anni, a partire dal 2006, una costola che avevamo chiamato Club Europa e che consisteva nell’organizzare show in contemporanea alla programmazione torinese in una delle principali capitali europee. Siamo così stati a Barcellona, Amsterdam, Berlino e per cinque anni a Londra. Da qualche anno abbiamo messo da parte il progetto perché siamo molto più impegnati a livello organizzativo col festival vero e proprio, ma nel futuro abbiamo intenzione di realizzare nuove attività all’estero.
E per quanto riguarda la direzione artistica, come vi muovete?
Tutto il nostro bagaglio di esperienze e conoscenze musicali ovviamente influisce su quello che vogliamo portare al festival, ma è un work in progress continuo, perché ogni giorno cerchiamo di informarci e di scoprire nuova musica. Volendo, potremmo riassumere il tutto in tre grandi correnti:
1. scoperta di artisti nuovi ed emergenti che tentiamo di portare per la prima volta in italia: ad esempio siamo stati i primi a portare qui Ricardo Villalobos, Ellen Allien, i Disclosure o James Blake;
2. artisti che costituiscono il core del festival, quelli più seguiti, cresciuiti con noi e con il pubblico del festival e che tentiamo ogni volta di riportare, come ad esempio Jamie XX;
3. i grandi classici: l’anno scorso sono stati Laurent Garnier e gli Autechre, ma c’è sempre stato un tentativo di andare incontro al pubblico magari più avanti con l’età ma che ama cose un po’ più ricercate. Oltre a questo, C2C è uscito anche dal seminato della musica elettronica, perché negli ultimi anni abbiamo visto sul nostro palco molti artisti di altri generi. È una cosa che ci piace e che vogliamo coltivare sempre di più perché vogliamo uscire dalle dinamiche imposte dal genere, vogliamo spingerci oltre alle distinzioni.
Parlando proprio della scoperta di artisti nuovi ed emergenti, l’anno scorso sul palco di C2C abbiamo visto un esordiente Ghali. Negli ultimi mesi ha spopolato tra i più giovani, alcuni dei suoi video hanno superato i 20 milioni di visualizzazioni ma non è stato immune alle critiche, anche molto dure. Cosa ne pensi di lui?
Parlando di identificazione generazionale, quello che poteva essere il rock per i quattordicenni ribelli di qualche generazione fa, oggi è la trap o l’hip hip, anche se bisogna fare delle distinzioni. Ci sono artisti che non mi piacciono, sono autoreferenziali e non comunicano nulla, se non il desiderio di fama, successo e ricchezza. E poi ci sono quelli che hanno dei contenuti più sociali, come Ghali. Noi abbiamo scommesso su di lui e i fatti ci hanno dato ragione, è riuscito a trovare la mediazione per arrivare al grande pubblico. A me piace un sacco, ad esempio, “Ora d’aria”: è un pezzo clamoroso, molto punk, poi ovviamente ci sono pezzi più solari, che lo contraddistinguono.
Parliamo proprio dell’approccio alla musica dei più giovani: c’è chi dice che la musica elettronica sia la musica di protesta delle nuove generazioni. Tu cosa ne pensi?
In parte sono d’accordo, nel senso che il rock è una forma superata, ahimè, nonostante io l’abbia anche amata ai tempi. Proprio oggi ho fatto un’intervista agli Arcade Fire: il loro nuovo album strizza molto l’occhio alle sonorità elettroniche. Quando persino gli Arcade Fire abbandonano il linguaggio del rock, significa che esso è invecchiato e che non rappresenta più le nuove generazioni.
Sul fatto che l’elettronica possa essere usata come musica di protesta, dipende da come viene proposta: anche Lady Gaga fa, a modo suo, elettronica. Si può fare questo genere in modo iperconformista oppure spingersi verso qualcosa di oltre.
Io per prima che ho meno di 30 anni ed ho ascoltato punk, hardcore e metal per quasi tutta la vita faccio davvero fatica ad ascoltare dischi di questi generi usciti dopo la fine degli anni Novanta, credo che ormai abbiano poco da dire.
Dipende dall’attitudine, hai fatto bene a citare il punk perché è quella l’attitudine che può davvero scardinare il genere. Uno come Powell è punk dentro, ma il modo di esprimerlo tramite la musica elettronica rende il suo lavoro più immediato e accessibile. Questo genere ha superato a sinistra qualsiasi altro movimento perché è più facile da condividere e al momento è quello più diretto.
Un altro progetto legato all’associazione Xplosiva è The Italian New Wave: per chi non lo conoscesse, è un progetto di C2C che mira a promuovere la creatività e l’unicità di un roster vario di artisti italiani, come Bienoise, Vaghe Stelle o Lorenzo Senni, per citarne alcuni. Mi sembra molto interessante che in un mondo in cui attraverso il digitale i confini nazionali stanno in qualche modo sbiadendo, voi abbiate scelto di puntare su un progetto tutto italiano. Me ne vuoi parlare? Come vengono selezionati gli artisti?
La direzione artistica è a cura di Guido Savini e Sergio Ricciardone, ma ne condivido assolutamente la visione. Non so se sai come è nato il nome del progetto: durante l’edizione del 2010 del festival, James Holden scrisse un tweet in cui diceva “Watching Vaghe Stelle live, amazing. Something is happening in Italy, have met and heard so many interesting italians lately”. E in seguito: “THE ITALIAN NEW WAVE”. Da lì abbiamo scelto il nome.
Inizialmente è nato come una scommessa. Ci siamo detti: proviamo a costruire un movimento, a creare un cartello di artisti. Il minimo comune denominatore è che non hanno nulla in comune tra di loro se non il fatto che ciascuno ha creato un proprio mondo, sono tutti distanti dagli stereotipi, dai canoni standard, dalle banalità della musica elettronica. Noi cerchiamo di valorizzare la creatività di questi artisti e questa cosa ha suscitato molto interesse anche all’estero, infatti siamo riusciti ad organizzare showcase in grandi città internazionali come Londra o New York. Adesso paradossalmente stiamo cercando di far conoscere di più il progetto in Italia!
Tutto questo fermento culturale potrebbe avere un buon alleato nelle OGR, che riapriranno con una grande inaugurazione il 30 settembre. Si dice che questo porterà Torino ad essere uno dei più importanti poli cuturali d’Europa. Cosa ne pensi e cosa ti aspetti?
Mi sembra sia un posto che offre innanzitutto un certo fascino che manca a molti luoghi in cui si fruisce la musica a Torino; che dal punto di vista tecnico sia stato messo a punto per il Big Bang, la grande riapertura del 30 settembre. Credo che stia davvero partendo col piede giusto, noi in realtà come C2c ospitiamo lì gli 8 concerti dei Kraftwerk e siamo ovviamente felici di questa collaborazione, anche perché senza le OGR non si sarebbe potuto fare, siamo l’unica città italiana in cui verrà proposto questo spettacolo e lo si deve alla location esclusiva.
Torniamo a te. Parliamo del tuo lavoro in radio.
Sono molto contento di fare radio, ora sto lavorando per Radio Raheem, un nuovo progetto nato a Milano quattro mesi fa ma che sta crescendo molto bene e credo che la prossima stagione riusciremo a fare grandi cose!
Pensi che nel 2017 la radio sia ancora un canale importante?
Molto di più rispetto a qualche anno fa e addirittura sta riconquistando una centralità che molti non sospettavano, addirittura a discapito della televisione se parliamo di grandi numeri.
Questa esplosione si deve ovviamente alla rete, al fatto che la radio sia ormai fruibile attraverso numerosi supporti, noi ad esempio facciamo anche le live su Facebook ma ci sono tantissime radio online nate in maniera dilettantistica che stanno diventando sempre più grosse. Una cosa che mi trova molto partecipe ed eccitato. Un esempio? Aphex Twin è andato live su NTS, non sulla BBC. Questo deve farci pensare a quanto importanti stiano diventando certi canali nati dal basso grazie al digitale.
Ti ringrazio moltissimo per tutto il tempo che mi hai dedicato e mi sento di dirti che per noi “nuove leve” sei indubbiamente un modello da seguire. Hai qualche consiglio da dare a chi sceglie di vivere di musica?
È un mondo difficilissimo, bisogna essere molto motivati e crederci fino in fondo anche perché, dal punto di vista pratico, soprattutto all’inizio, devi mettere in conto che purtroppo bisogna lavorare gratis e bisogna trovare un lavoro che ti permetta di mantenerti, sostenendo questa passione. Io i primi anni ho faticato tanto ma sono un capricorno, sono testardo e alla fine ce l’ho fatta!