Giorgio Li Calzi e CHAMOISic: lavorare col territorio
Giorgio Li Calzi, celebrato musicista, compositore torinese da anni protagonista della scena jazz europea con progetti solisti e collettivi avventurosi, è anche, fin dalla prima edizione, direttore artistico di CHAMOISic, festival di musiche “altre” in quel di Chamois, incantevole villaggio alpino a 1800 mt. d’altitudine nella Valtournenche, poco lontano da Aosta e Torino. Solo qualche nome delle passate edizioni per dare la misura del vasto ambito d’interesse del Festival: Jocelyn Pook, Frank Bretschneider, Jon Balke, Fred Frith, Eivind Aarset, Iva Bittova, Leafcutter John, Vladislav Delay, Antonio Rezza, Baby Dee e molti altri ancora, concerti ed eventi fruibili gratuitamente nella piazza centrale di Chamois e con variabili inconsuete lungo i siti della Valtournenche.
Chiediamo dunque a Li Calzi qualche anticipazione sulla edizione 2024 e su come negli anni si è trasformato il percorso di un festival di frontiera come CHAMOISic, lontano dalle logiche commerciali che in genere permeano i festival estivi italiani.
Puoi darci le date e il programma definitivo del festival che stai allestendo assieme al gruppo di lavoro in Val d’Aosta con cui collabori da anni?
Giorgio Li Calzi: L’edizione 2024 di CHAMOISic si svolgerà in forma ridotta a causa di una serie di eventi, molti dei quali hanno ritardato la comunicazione che è partita 10 giorni prima dell’inizio del festival, e specialmente per il mancato sostegno dell’Assessorato Cultura Regione Valle d’Aosta, che ci ha dichiarati ammessi al finanziamento, ma non ci ha finanziati per mancanza di soldi. È stato cioè introdotto un criterio soggettivo all’interno di un criterio oggettivo: i soldi sono stati dati solo ad alcuni enti invece di optare per un’equa distribuzione delle poche risorse disponibili a tutti i soggetti ammessi attraverso un punteggio. Non abbiamo fatto ricorso al TAR, possibilità peraltro indicata come percorribile nella comunicazione stessa della Regione, ma ancora più imbarazzante è stata la motivazione, quando abbiamo chiesto l’accesso agli atti per conoscerla. Penso che se la Regione Valle d’Aosta, che resta il principale beneficiario di un festival come il nostro, non è interessata al lavoro socio-culturale che portiamo avanti da 15 anni, non è necessario che lottiamo ostinatamente per mantenerlo in vita. Anche sconfortante è stata negli ultimi anni la nascita di un “contro” festival, creato da un’associazione di Chamois con motivazioni non sane ma competitive, imitando il nostro format, il nostro nome e creando molta confusione in generale. Io credo che non sia indispensabile organizzare ostinatamente dei festival, esattamente come non è obbligatorio produrre musica: in un mondo artistico e sociale ideale bisognerebbe seguire le proprie passioni e talenti, e condividere l’arte con chi la fruisce e nel contempo la alimenta, creando una crescita collettiva. La musica si fa per un pubblico e per aggiungere un nuovo tassello di conoscenza all’interno di una comunità. Inoltre ogni nucleo sociale dovrebbe chiedersi di che cosa ha bisogno e inventarsi nuove vie per migliorare e diversificare le condizioni della propria collettività.
Nonostante queste premesse e considerazioni, il festival si svolgerà a Chamois sabato 20 e domenica 21 luglio e a La Magdeleine e Etroubles il 13 e 14. Anche questa volta ci siamo inventati dei concerti unici, produzioni nate dal dialogo con artisti, con le amministrazioni e con la rete che si è sviluppata negli anni. Per noi è fondamentale lavorare con il territorio: ogni territorio possiede enormi talenti che possono crescere se incentivati, e ogni territorio ha bisogni e desideri che è bello tirare fuori e concretizzare sotto forma di concerto. Sono cose che io e miei fantastici colleghi del festival abbiamo imparato negli anni, grazie anche ai nostri fantastici ex-colleghi, che continuano ad aiutarci e a suggerirci modalità per migliorare.
L’altro anno eri riuscito a portare sulle Alpi Al Quasar e l’ensemble di Pigmei Ndima per concerti/eventi davvero straordinari. Quest’anno che sorprese hai in serbo per il pubblico che sempre più numeroso interviene al festival?
Per me il festival deve sempre rappresentare qualcosa di straordinario, proprio come dici tu: straordinario per il pubblico, cioè per noi che ascoltiamo e per il territorio in cui viene innestato il festival. Qualcosa a cui arriviamo dopo anni di “esercizio” con gli spettatori, cioè concerti molto diversi messi vicini tra di loro, produzioni originali (fatte con un criterio tecnico, essendo io un musicista), improvvisi cambi di registro nel programma anno dopo anno, e, come dicevo, coinvolgimento del territorio. Se l’anno scorso abbiamo prodotto un concerto per cani e umani (sul palco Ramon Moro, Emanuele Maniscalco con i loro rispettivi cani) o un concerto di pigmei dalla Repubblica del Congo per l’unico concerto italiano a Chamois, quest’anno, avendo meno soldi per pagare viaggi intercontinentali, abbiamo chiesto al trio Aljazzeera, musicisti straordinari che vivono tra Torino e la Valle d’Aosta, di fare il loro primo concerto con la Banda Musicale di Donnas (Comune valdostano al confine con il Piemonte). Questo è solo uno dei tanti esempi che rende unica la programmazione di CHAMOISic, e per cui vale la pena di venire a CHAMOISic.
Questa è ormai la 15esima edizione. Daquando CHAMOISic è nato ad oggi, come si è trasformato un format così eterodosso quanto alieno da logiche commerciali e quali le soddisfazioni maggiori che avete ricevuto?
Proprio l’originalità di CHAMOISic è anche il suo limite: come dicevo, la politica non è esperta di musica, e fatica anche a comprendere la potenza di un’arte che può apparire effimera, non essendo visiva né tattile. Ma la musica nasce perché una comunità possa cantare o ballare o stare insieme per ascoltare chi fa musica e per restituire vibrazioni al musicista, la cui musica nasce proprio dal respiro dell’ascoltatore. La buona politica dovrebbe scegliere e fidarsi dei tecnici che incarica, e poi farsi da parte, guardando dall’alto. Invece siamo pieni di cattiva politica che ha logiche più turistiche che culturali, avendo come principali obiettivi le scelte popolari, il sold-out, l’intrattenimento, la mancanza di rischio culturale e quindi di crescita sociale. Le maggiori soddisfazioni le abbiamo avute dal pubblico, che sperimentando con noi, cresce con noi.
Un’altra grande soddisfazione è stata quando nel 2019 Chamois ha ricevuto la Bandiera Verde da Legambiente, per avere lavorato su ambiente e cultura, e nella descrizione viene citato come motivatore il festival CHAMOISic: … Oggi la località è nota, agli appassionati del jazz e non solo, per CHAMOISic, il festival giunto quest’anno alla sua decima edizione (…), nato in alta quota e allargatosi ormai non solo alle località confinanti, ma ad altri Comuni valdostani e non, con le sue proposte di concerti all’avanguardia, tra innovazione e tradizione. Imboccata questa strada, che da sola meriterebbe il riconoscimento della Bandiera Verde, Chamois ha oggi in cantiere…
Dopo così tanti anni CHAMOISic si è creato un ‘curriculum’ ed è bello ed interessante leggere sul vostro sito le considerazioni super positive che gli artisti intervenuti fanno “dell’esperienza-CHAMOISic”. Dunque oggi ti/vi è più “facile” organizzare il Festival ?
Per me che sono musicista, è molto confortante sapere che CHAMOISic è piccolo un festival conosciuto artisticamente in tutto il mondo ed è un’enorme soddisfazione quando alcuni miti della musica mi hanno scritto per venire a suonare a CHAMOISic, all’aperto e a 1800m. Noi che non siamo turistici, non metteremo mai sotto il sole dei 1800m un musicista a suonare, anche perché rovinerebbe il proprio strumento antico, oppure non riuscirebbe a vedere i display dei propri strumenti elettronici. Un’ultima cosa che mi dispiace è quella di non riuscire rispondere alle quotidiane richieste di inserimento di musicisti (sono tantissimi) in un piccolissimo programma come il nostro.
Un’ultima domanda: quest’anno hai fatto uscire il bellissimo disco con Chandra Candiani La Via Delle Nuvole e a luglio il progetto Prank (che non ho ancora potuto ascoltare), dunque un periodo particolarmente fertile per te. Porterai questi progetti in giro dopo l’estate ?
Io tendo a registrare moltissima musica perché il mio lavoro è sempre stato quello di produrre musica. Più della metà della musica che compongo e produco, la butto via. Alcune volte temo di avere deluso amici musicisti con cui ho collaborato per non avere pubblicato pezzi. Ma credo che la collaborazione artistica vada sempre intesa come scambio: di idee, di conoscenza e di regali. Personalmente cerco di avere forti motivazioni per pubblicare musica, più personali che commerciali. Certamente sono anche fondamentali le motivazioni commerciali: il musicista esiste perché esiste chi lo ascolta. E non sto solamente da una parte della barricata, perché mi piace molto ascoltare, nello stesso modo per cui mi piace creare musica. In questo momento ho 2 album pronti: uno di collaborazioni (con Stefan Nemeth-Radian e Innode, J3PO, Domenico Sciajno e la mia alter-ego Hayley Alker), un altro album che è la colonna sonora di due episodi della serie “Art Crimes” (di Stefano Strocchi, prodotta da Arte e Sky nel 2022), realizzato con molti musicisti e sezioni di archi, poi un album quasi finito con Mike Cooper, e altri 3 album iniziati da poco. A settembre suonerò molto dal vivo: con Chandra Candiani al festival Torino Spiritualità. Poi al FestivalFilosofia di Modena Carpi Sassuolo (il 13 settembre), dove sonorizzerò il film “La neuropatologia”, un film del primo Novecento a cui ho lavorato su commissione del Museo del Cinema di Torino in collaborazione con il Festival dell’Innovazione di Settimo Torinese, un live molto d’impatto. Poi farò nuovi progetti nelle Langhe con Paolo Dellapiana, un bravissimo musicista elettronico con cui collaboro da diversi anni, e infine un concerto con i Prank (7 settembre) al festival di Tarquinia diretto dal mitologico Emiliano Li Castro, un grande musicologo al lavoro per la musica da decenni.
Noi fortunati che siamo nati in una porzione di mondo fortunato, viviamo di passioni che ci fa piacere condividere nella comunità in cui viviamo. È un modo per crescere tutti insieme anche se restiamo fondamentalmente umani, la specie più pericolosa e meno cooperante nel nostro pianeta.