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GIMLII, :​:​interweave

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Nulla da eccepire sull’esordio sulla lunga distanza dell’italiana Gimlii: si parla di un’elettronica sognante e fragile come la sua voce, che sta da qualche parte tra quella di Alison Shaw dei Cranes e quella di Costanza Francavilla. Gimlii è vicina a Costanza anche come sound, dato che a livello di ritmi – quasi sempre spezzati e irregolari, spesso downtempo – guarda agli anni Novanta, passando da cose più vicine al trip hop ad altre che tengono conto del filone jungle/drum’n’bass, ma senza mai spingere troppo in una delle due direzioni. Per completare il quadro, direi che non mancano frangenti più ambient, sempre molto “gaze” (dà l’idea che avrebbe potuto suonare nei primi sigur rós e trovarsi a suo agio), e che c’è quasi sempre un non so che di orientaleggiante nelle melodie.

L’album – non è una critica – è breve e scorre via senza alcuna caduta: è accessibile ma non banale, è pop ma non nel senso spregiativo che può assumere su questa ‘zine, in cui c’è gente che mangia pane e Archgoat a colazione. Attenzione, però: in passato, molti progetti che si sono mossi in quest’ambito si sono subito annacquati e strazuccherati nella speranza di vendere un po’ di più… adesso che siamo nel 2018 e non c’è speranza più per nessuno, sappiamo che è molto meglio pensare a fare un bel disco e basta.