GIANLUCA BECUZZI, The Bunker Years [2006 – 2014]
A volte ci ritroviamo a parlare e a discutere sul concetto di “musica senza tempo, musica fuori dal tempo”. Qualcosa che sia difficile da collocare in un determinato momento storico e per questo catalogabile come “classico”. Spesso la chiave di questa eternità è la costruzione e realizzazione di una traccia con suoni e strumenti ridotti al minimo, all’essenziale. Less is more, come direbbero gli anglofoni.
Uno dei post su Facebook più interessanti di Gianluca Becuzzi, tra i moltissimi suoi sempre stimolanti e mai banali, è di parecchi mesi fa e dice: “il mio sogno è riuscire a fare musica solamente sfregando e battendo due sassi tra di loro”. Tra oggi e il 2006 sono passati ben 14 anni, una vita. Eppure Becuzzi, che non è mai stato un personaggio al seguito di mode o tendenze del momento, ci presenta oggi una raccolta di pezzi dal titolo The Bunker Years (2006-2014), rigorosamente strumentali, proprio in un momento della sua ricerca e avventura artistica in cui sta scuoiando ogni suono possibile per dar risalto alle sue intuizioni e sperimentazioni sulla voce.
Il suo concetto di bunker, come spiega nelle note del disco, è quello di un rifugio volontario pensato e costruito per creare quel giusto distacco tra realtà inutile, nociva, malata, e l’area di spazio personale, di compressione e decompressione, di carico e di scarico, in questo caso per fare musica in piena libertà. Spesso con collaboratori e progetti diversi, ma con tocco finale assolutamente personale. Ti conosco, mascherina… Anche per me quelli sono stati anni “da bunker”, ma scioccamente nel modo opposto in cui li ha intesi il buon serafico artista toscano. Ero stressatissimo e concentratissimo nel fare dieci lavori diversi in contemporanea con l’intento di metter su famiglia, e “perfino” di sposarmi. Poi, sull’orlo di una crisi di nervi che mi avrebbe portato probabilmente ad indossare un pigiama a strisce verticali dopo incontri troppo ravvicinati con fornitori non paganti e compagnia bella, ho deciso di cambiare vita e di ripartire da zero in un Paese straniero.
Ora, Anno Domini 2020, siamo al terzo concetto di “bunker”: il coronavirus in versione italodisco remix. Giorgio Moroder scansati proprio. Alla consolle dj Conte che sta gestendo la situazione alla Tafazzi. Un Paese governato come se ci fosse la peste fuori. Ogni casa è diventata un bunker, ma nel senso peggiore del termine. Il ruolo delle ombre, fino alla fine di tutto. Sono pure i due titoli iniziali e finali di questo disco becuzziano. Tra il bianco, che è la somma di tutti i colori ,e il nero sta ogni singolo suono di queste 8 tracce. Prenditi un qualsiasi giornale cartaceo oppure online di questi giorni,e leggiti le ultime notizie di cronaca italiana con questo disco nelle orecchie. E dimmi se la dicitura “2006-2014” non è totalmente superflua.
Essere classici, oggi.
Arrivederci alla prossima fobia di massa.