GIANCANE, Tutto Male
Sono trascorsi circa sei mesi dall’uscita del terzo album di Giancane, cantautore romano noto (anche) per il suo legame d’amicizia e artistico con Zerocalcare. Il mio primo incontro con Tutto Male è avvenuto in modo piuttosto singolare: un amico mi ha suggerito di ascoltare il brano “Voglio Morire”, introducendolo come “un pezzo dalle tematiche funeral doom”. In retrospettiva, penso che bastasse e avanzasse per stimolare la mia più sincera ed entusiasta curiosità, infatti così è stato. Il pezzo, neanche a dirlo, parla della morte come scelta consapevole, e la forma da canzone dell’oratorio/falò di Ferragosto, con tanto di coro sul finale, rende il tutto così orecchiabile e spontaneo che mi si è piantato in testa e lì è rimasto, da allora. Inoltre, “la mia vita è solo un lungo lunedì di merda” è una frase che l’autore avrebbe potuto leggere sul mio diario (e non solo il mio, potrei scommetterci).
L’album di per sé, a parte un paio di momenti più gioviali, è molto riflessivo, sinceramente malinconico, figlio di ciò che abbiamo collettivamente esperito in pandemia ma che in fondo ci accompagna ogni giorno. Giancane, al secolo Giancarlo Barbati, classe 1980, parla della sua generazione e si rivolge ad essa con un linguaggio semplice ma non banale, e qui mi riferisco anche ai suoi album precedenti, di cui suggerisco l’ascolto per meglio comprendere la non sempre immediata profondità delle sue argomentazioni. Il suo discorso sa essere ironico, scherzoso, intelligentemente sarcastico, ma mai superficiale. È anche abbastanza facile immedesimarsi nei suoi brani, e a tratti si ha la sensazione di parlare con l’amico con cui vorresti farti una chiacchierata in un momento particolarmente difficile, quell’amico che sa ascoltarti ma anche sdrammatizzare, senza retorica né eccessiva strafottenza.
Emblematica in tal senso “Come Stai”, una critica nemmeno troppo sottile a certi automatismi che caratterizzano le relazioni, con riferimenti taglienti a temi sociali molto specifici, se visti da chi oggi ha un’età compresa tra i 30 e i 45, a spanne. Su un verso come “omertà su queste vite interrotte” si potrebbe scrivere un intero trattato sociologico, come sull’immedesimarsi dell’autore in un trentenne e poi in un sedicenne, le cui vite non sono poi tanto diverse, più nel male che nel bene.
Giancane parla di tristezza come condizione quotidiana in un modo che non credevo possibile, essendo personalmente abituata a più o meno ogni sfumatura sia stata proposta in ambito metal (dai Katatonia agli esponenti di ciò che viene definito “Depressive Suicidal Black Metal”, insomma, dei veri maestri dello sconforto), eppure, ribadisco, sa parlare di e con i suoi ascoltatori con una naturalezza disarmante.
Da un punto di vista strettamente musicale si assiste a un miscuglio di generi piuttosto inusuale: lui, assieme alla sua band, si muove con gran disinvoltura in territori molto diversi tra loro, dimostrando una padronanza notevole della materia e una capacità di inserire qua e là dei riferimenti culturali più o meno espliciti che mi hanno fatto sorridere (da Max Pezzali a Don Matteo, ma non scendo nel dettaglio, altrimenti si perde tutto il divertimento).
Consiglio Tutto Male a chi vuol essere sorpreso, al di là delle etichette, dei sottogeneri e dei pregiudizi, perché è un album che riesce a strappare risate amare, che a volte sono tutto ciò che serve.