GHOUL, Dungeon Bastards
Se c’è un gruppo che per molti anni ha tenuto alto il proprio standard qualitativo, quello sono i Ghoul. Sebbene in Europa non siano mai stati tanto seguiti quanto in America, dalla loro nascita nel 2001 sono una delle migliori formazioni che il metal statunitense abbia saputo partorire, oltre a essere stati per anni il fiore all’occhiello della Razorback Records (etichetta che su queste pagine è stata più volte nominata per il suo ineguagliabile talento nel lanciare diversi gruppi, la cui notorietà è però cresciuta altrove). Questo nuovo Dungeon Bastards è il secondo album che il quartetto fa uscire per la Tankcrimes, che ha saputo sfruttare al meglio il culto che già c’era intorno al suo nome e a farlo diventare veramente grosso (tant’è vero che il tour di promozione di questa nuova fatica in studio sarà in compagnia di Carcass e Crowbar).
Sulla carta, Dungeon Bastards ha tutti gli ingredienti che hanno reso grandi i primi tre lavori dei Ghoul (We Come For The Dead!!!, Maniaxe e Splatterthrash): la voce di Digestor (Sean McGrath) è ruggente come al solito, le parti di chitarra sono sempre curate e i riff ci riconsegnano il loro classico mix di thrash e hardcore con una grande quantità di parti mosh. Il nuovo ingresso dietro le pelli (e dietro la figura di Fermentor) Peijman Kouretchian regge bene il confronto col precedente Dino Sommese, che molti si ricorderanno per il suo glorioso passato coi Dystopia. Purtroppo, però, questo non è abbastanza: sin da Dimension Zero il “già sentito” era preponderante. Quello che una volta suonava come fresco e impetuoso, da cinque anni a questa parte non regge il confronto con quanto già detto nei tre dischi nominati poco prima, che avevano anche una produzione leggermente più grezza, mentre questa, pur essendo impeccabile, segue un po’ lo standard dei recenti dischi thrash usciti in America. Per nostra e loro fortuna, Dungeon Bastards non suona così insipido quanto il suo predecessore e può vantare ottimi episodi come l’iniziale “Ghetto Blasters”, “Shred The Dead” e “Ghoulunatics”. Continuiamo però ad essere lontani da quello a cui la band ci ha abituato per i primi dieci anni della sua carriera, e questo non può passare inosservato.
Nonostante questo disco sia tutto tranne che un momento da dimenticare, in certi casi bisogna esigere di più, soprattutto quando due membri fondatori di questa band (Ross Sewage e lo stesso McGrath) le hanno dato la priorità rispetto agli Impaled, sui quali prima erano molto più concentrati.
Billy Nocera si sarà pur dimostrato un imprenditore discutibile, ma i Ghoul migliori li ha prodotti la sua Razorback e il nuovo corso su Tankcrimes non regge il paragone. Una cosa a loro difesa però va detta: Dungeon Bastards è comunque mille volte meglio del piattume proposto dal 90% dei gruppi del revival thrash, alcuni dei quali hanno avuto molto più successo senza mai pubblicare un album di questo livello.