GHOST, Impera
Impera arriva dopo due album che hanno avuto su di me effetti opposti, tanto mi ero lasciato coinvolgere e trascinare da Meliora, tanto la delusione collegata a Prequelle era stata cocente. Purtroppo, nonostante il tempo passato e gli ascolti, la mia opinione su quel disco non è troppo cambiata: in particolare non sono riuscito a digerire la scelta di svoltare verso derive A.O.R. e FM-rock abbandonando quasi completamente i richiami al metal, così da perdere l’incisività e il tiro dei brani con il risultato di offrire ai propri fan un disco in qualche modo sgonfio. Con Impera le cose non tornano indietro, nel senso che i richiami a band quali Kansas, Toto, Styx e compagnia cantante restano lì in bella mostra e, addirittura, sembra ci si sposti ancor più verso territori pop e ruffiani, ma per assurdo questa volta le cose girano nel modo giusto e i brani funzionano a dovere. Bonus non da poco, si avverte sempre più forte l’ombra dei Blue Öyster Cult che dona quel mix bilanciato tra armonie/melodie e temi oscuri che mi ha sempre fatto amare la band, un fattore che rende la scrittura più decisa e coraggiosa anche quando scivola verso territori decisamente leggeri e vicini ad una sensibilità da arena-rock. Prodotti dallo svedese Klas Åhlund, noto per aver lavorato con stelle del pop quali Kesha, Kylie Minogue, Britney Spears, Katy Perry e Madonna, i Ghost hanno abbandonato le esitazioni di Prequelle per lasciarsi guidare da chi con certi suoni “leggeri” ci sa fare e il risultato è un album che punta dritto a conquistare con ritornelli orecchiabili e brani dal grande appeal radiofonico. La differenza sta nel farlo a testa alta e senza timori reverenziali, con una sfrontatezza che dimostra come i primi a crederci siano loro stessi e questa è un aspetto fondamentale. L’opera di Tobias Forge, ormai padre padrone dei Ghost senza sé e senza ma, è in grado di entrare sotto pelle e – ascolto dopo ascolto – se si sceglie di stare al gioco ci si ritrova a canticchiare e muoversi a ritmo con una serie di pezzi ben costruiti e ben bilanciati, forti di una scrittura sicura e ricca di sfumature, tanto ruffiani quanto coinvolgenti. Verso la fine c’è qualche momento più “melenso”, qualche strizzata d’occhio al barocco dei Queen ma è parte del gioco, così come è evidente che la band abbia sempre in mente l’idea di essere una sorta di musical vivente, con tanto di trama, trailer video recitati ad unire i vari episodi e concerti costruiti come veri e propri atti di uno spettacolo a tema. Così, dal concept che vede al centro del disco l’immagine di un impero nella sua ascesa e caduta (tra profeti e più o meno veri messia) alla copertina che richiama direttamente una celebre foto di Aleister Crowley, a un brano che sembra costruito su di un film di Tim Burton (“Twenties”) e agli intermezzi musicali, tutto concorre a dare l’idea di un blockbuster da cui lasciarsi coinvolgere pop-corn alla mano per staccare dalla quotidianità. La domanda è se il gioco funzioni e, questa volta, con non poca sorpresa di chi aveva ormai perso le speranze, Impera convince proprio in quegli aspetti che avevano fatto – e continueranno a far – storcere il naso a molti fan della prima ora e amanti del metal.
Per quanto mi riguarda (uso volutamente la prima persona), bentornati Ghost!