GHOST HORSE, Trojan
Un virus subdolo, lento, sottile e potente, che non lascia scampo e manda in tilt i meccanismi dell’ovvio: così suona Trojan, il primo disco per Ghost Horse, ovverosia la versione espansa di Hobby Horse, il trio di Dan Kinzelman (sax tenore, clarinetto basso), Joe Rehmer (contrabbasso) e Stefano Tamborrino (batteria); la formazione qui si allarga a sestetto, con la presenza di Filippo Vignato al trombone, Glauco Benedetti a tuba ed euphonium e Gabrio Baldacci alla chitarra baritono. Un virus, dicevamo, oppure un agguato preparato nella notte, come il famoso cavallo di Ulisse, per dire della cura e del mood tra epica e minaccia che aleggia in queste otto tracce.
Il pezzo omonimo si regge su un pugno di note reiterate dal basso, tessendo una corposa eppure elegante tela jazz rock che preferisce i colori scuri per rivisitare i Soft Machine attraverso lenti capaci di offrirci una sguardo in altissima definizione. Minimalismo, ambient, elettronica glaciale, scomposizioni e armonie ripide alla Tim Berne, languori ECM, ombre di King Crimson (mi sono venuti in mente gli svizzeri Sonar, in qualche frangente), controllo, furia, attitudine zen e passi verso il buco nero che inghiotte il suono: tutto si tiene nel caleidoscopio della band, ad esempio le foreste e le pianure gelide de “Il Bisonte”, che fa tornare in mente i Pago Libre e il Moscow Art Trio, ed in particolare Arkady Shikloper, con un tema tra il folk immaginario e l’elegiaco perfettamente cantato dai tre fiati che dialogano cercando una fiammella che riscaldi nella galaverna. Oppure il 5/4 di “Five Civilized Tribes” e il suo immergere le spirali ritmiche di Steve Reich e il math rock dei Battles in emulsione dub, con un’apertura melodica che però allenta la tensione celeste creata e un crescendo non così a fuoco. “Hydraulic Empire”, invece, non ingrana per la prima parte, per poi finalmente decollare con una semplice linea di basso e su un pencolante andamento sghembo e rarefatto punteggiato da una chitarra acida e discreta, e da un procedere sempre in sottrazione che funziona alla perfezione. Dicevamo, non tutto è sempre ispirato e pregnante: “Dancing Rabbit” evidenzia, ma lo sapevamo già, l’eccellente livello dei musicisti coinvolti ma non porta in cascina idee musicali particolarmente significative, se non spezie fusion, che al palato chi scrive hanno un sapore poco gradito, anche se a un certo punto, di nuovo, il pezzo si incanta su una figura di basso e lì le cose si fanno molto più interessanti, con un ottimo lavoro di Baldacci e un prezioso arrangiamento di fiati. Ciò che mi preme però sottolineare è la voglia del sestetto di osare, di cercare spigoli nascosti, di mescolare senza mistificare, l’abilità innegabile nel tradurre in musica le influenze più disparate (non per caso il disco è uscito nella versione lp per l’etichetta americana di elettronica Methamatics), l’attitudine esplorativa e la capacità di giustapporre timbri e dosare dinamiche con grande equilibrio e musicalità. La nenia “Forest The Tress” e lo shuffle alla moviola di “Killing The Sword” ci mostrano l’aspetto più lirico e assorto della galassia Ghost Horse, anche se poi quest’ultima traccia nella seconda parte diventa un vulcano di poliritmi ed erutta roventi lapilli di psichedelia metallica. Chiude Pyre, che si apre vaga e minacciosa, come i detriti cosmici di una stella esplosa dopo una collisione o come il suono di un abisso da osservare a testa in su, per poi assestarsi su una rotta (di deriva definitiva, o di ritorno a casa? Chissà…) con una semplice figura ritmica portata dalla chitarra, che poi viene scomposta in mille possibilità, ripresa dalla tuba, dal basso, dal trombone, vivisezionata, sottoposta a fratture, analizzata come in una camera autoptica, lasciando presagire una morte imminente che poi però non giunge, con un enfatico (ma non troppo) finale a pieno regime, come una marching band dell’Antropocene persa nello spazio senza gravità. Poi i segnali si inceppano, la comunicazione è disturbata, non è dato sapere dove finirà la navicella né quale sarà la meta finale di questa missione: fine delle trasmissioni.