GERMAN ARMY, Kalash Tirich Mir
Straniante e fascinoso, questo nuovo album del duo della contea di San Bernardino (California). Kalash Tirich Mir è una sorta di rito magico (che trae ispirazione da una popolazione stanziata sulle catene montuose del Pakistan) diviso in tante piccole parti che servono nell’insieme a provocare numerosi vuoti di memoria e improvvisi salti nel tempo: il vortice hypnagogic di “Plastic Canyon”, le sventagliate western di “Contemporary Dialogue”, la sauna electro-delic di “Painted Gold” o la ventata weird-noise di “Jungles Of Judgement”, per non dire delle carezze à la Throbbing Gristle di “Takultu”. Sul secondo lato si prosegue spediti verso lande psych, sempre piuttosto distopiche, con le ritmiche strambe di “Tuareg Woman” e l’aliena “Dreary Worship”. Qui il minestrone stilistico raggiunge livelli tali da farti pensare che non stai più ascoltando lo stesso disco, ma ci pensa la melodiosa “Folk Healer” – mai titolo fu più azzeccato – a ristabilire per pochi minuti un ordine che in verità volutamente non c’è e che in fondo non dev’esserci, tant’è vero che la finale “Willowbrook Reporter” è centrifuga electro che ti lascia senza sapere che pesci prendere… Trattasi dunque di abbozzi immersi nell’acido, che non hanno la pretesa di inventare nulla di nuovo. I German Army, in pratica, dimostrano di saper selezionare tra scorie musicali e di essere in grado di recuperare una serie di elementi consunti dal tempo ma non del tutto alterati nella forma, perciò riutilizzabili con fantasia e sfacciato coraggio.