GERMAN ARMY, Animals Remember Human
Presto o tardi, l’esotismo d’accatto dei German Army non poteva che fare scopa con il quintomondismo dei marchigiani di Artetetra: pubblicato su cassetta insieme all’etichetta americana Crash Symbols, questo nuovo lavoro sembra infatti riflettere appieno la politica aziendale dei ragazzi di Potenza Picena, improntata a una ricerca dell’alterità che ne fa una sorta di wunderkammer-label.
Il duo di San Bernardino costituisce una delle realtà musicali più prolifiche in circolazione: il tempo di leggere queste righe e, probabilmente, avranno già sfornato un altro disco (quest’anno siamo già a quattro ed è solo maggio).
Questo Animals Remember Human è, almeno sulla carta, dedicato alle specie di uccelli la cui sopravvivenza è messa in forte difficoltà dalla distruzione del loro habitat da parte dell’uomo. In pratica, non vi è traccia di volatili nei diciotto episodi: non un cinguettio, non un frusciar d’ali, ma un pastiche di sample musicali di cattiva qualità, nastri smagnetizzati provenienti da Medio Oriente, Maghreb o chissà dov’altro, mescolati a ritmiche 8 bit, annunci di servizio, voci pitchate verso l’abisso e percussioni tribali. Il risultato è un esotismo allucinato e straniante che sembra aver assimilato la lezione dei Throbbing Gristle di 20 Jazz Funk Greats, sciorinandola in deformate solfe pseudo-caraibiche (“Opal Glow”), vaporwave a bassissima fedeltà (“Animals Remember Human”), marce di ferocissimi pigmei (“Groundwater Mining”) o prestazioni occasionali à la Heroin In Tahiti in preda a demenza precoce (“Artifact Site”). È un viaggio, sì, ma per nulla rilassato: la sensazione di agorafobia è devastante, sembra di essere capitati al crocevia di destinazioni esotiche molteplici, confusi da una Babele di segni e linguaggi astrusi, intrappolati nella sala d’attesa di un aeroporto senza possibilità di prendere il volo, come in quel film con Tom Hanks che non ho mai visto.