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GERDA, Black Queer [+ anteprima di “Hafenklang”]

Domani hai tutta una vita davanti. Domani è già troppo tardi. Domani hai tutta una vita davanti.

La prima impressione che si ha di Black Queer è quella di un disco differente, il che nel caso dei Gerda non dovrebbe sorprendere, dato che l’unica certezza quando si parla della band è proprio l’aver sempre a che fare con lavori profondamente diversi dal loro predecessore. In fondo, il linguaggio dei Gerda, benché molto personale e legato ad alcuni punti cardine che sono la sua labile grammatica, ha come caratteristica proprio il cambiare continuamente la prospettiva e il modo di assemblare le varie componenti a seconda dell’umore e della predisposizione dei musicisti. Se, quindi, Your Sister ha rappresentato il vaffanculo dei Gerda, il loro pugno allo stomaco con tutta l’urgenza che poteva contenere un vinile, Black Queer ha un sapore più introspettivo e intimo: potremmo definirlo un album in cui i quattro si mettono a nudo e si mostrano in tutta la loro umana debolezza, pur sempre rabbiosi eppure meno esplosivi, più dolenti anche se non domi. Per questo è anche il disco che devia in modo più marcato dal loro percorso, nonostante contenga tutti gli elementi cari a chi li segue da sempre, come certe meccaniche nell’andamento dei brani e la reiterazione/interruzione della frase strumentale, solo che questa volta i tempi si dilatano e il rumore di fondo è meno assordante, ecco perché si parla di mettersi a nudo. Il risultato è un lavoro che si insinua sotto pelle e sussurra immagini ed emozioni all’orecchio dell’ascoltatore, per poi esplodere in urla disperate che fanno male sul serio proprio per il senso di rottura e privazione che si portano dentro.

Noi oggi vi presentiamo “Hafenklang”, un brano che sin dall’incipit chiarisce quanto detto finora e riassume in sé Black Queer, anzi né è l’emblema con quel suo sovrapporsi di melodie e dissonanze, mood malinconico e voglia di esplodere a malapena contenuta nelle maglie di un suono che ribolle e pare sempre sul punto di andare in frantumi, come un animale preso nella rete e ancora non fiaccato dagli sforzi per liberarsi. Perché il suono dei Gerda è prima di tutto un’entità viva e pulsante, figlia di emozioni e pathos e appunto mai uguale a sé stessa, sempre impregnata delle contraddizioni e dei dubbi che incidono sulla nostra esistenza.

Il disco si conclude con due cover, una dei Vel, l’altra dei PIL. Dei due omaggi ci colpisce soprattutto il primo, perché tocca corde intime e legami interrotti, quelli con una persona che ha saputo lasciare un segno in chiunque l’abbia incrociata lungo gli anni, per questo mi associo ai Gerda nella dedica a Francesco.

Tracklist

A1. Jeg Kjører Inn I Tunellen
A2. Lulea, TX
A3. Mare
A4. Terzo Regno
A5. Notte
B1. Hafenklang
B2. Figlia
B3. Theme