Gaznevada, la nuova onda italiana
Chi seguiva con passione le intriganti storie del nuovo rock d’Albione non può non ricordarsene. Chi si lasciava catturare dai suoni e dalle atmosfere di Killing Joke, Siouxsie & The Banshees, Echo & The Bunnymen, chi rimestava tra le provocazioni di James Chance e le propaggini di No New York, oppure si lasciava cullare dagli inquieti Tuxedomoon, non può averli dimenticati. Erano l’unico gruppo italiano New Wave, o perlomeno l’unico in grado di non sfigurare di fronte all’arrembante scena inglese o alle più sperimentali onde americane. I Gaznevada, per il pubblico New Wave italiano, rappresentarono una sorta di piccola isola della quale andar fieri, un ensemble che, pur con tutti i limiti, aveva appreso e modificato, arrangiato e trasformato, il nuovo sound, la nuova ondata che, figlia del punk, aveva sovvertito il rock mondiale.
Bolognesi, dai trascorsi punk sotto il nome di Centro D’Urlo Metropolitano, situazionisti, surreali e autentici figli del movimento del ’77, i Gaznevada (il nome è tratto dal libro di Raymond Chandler “Nevada Gas”) finiscono sotto contratto col mitico produttore, musicista e scrittore Oderso Rubini per la neonata etichetta Harpo’s Bazar (sarebbe diventata presto Italian Records), e registrano il loro primo prodotto musicale su cassetta dal titolo Gaznevada, del 1979. Ma è quasi inutile dire che è con il primo vero e proprio lp che si ha la svolta concreta, la netta visione di un suono europeo, quello successivo all’esplosione punk del 1977. Sono anni particolari in cui la rabbia, le contestazioni e le creatività del Movimento lasciano il posto ad un riflusso introverso, un ripiegamento che nulla di buono lascia presagire, e nulla di buono accadrà. Dal punto di vista musicale, il punk in tutto il mondo anglosassone destruttura l’intera scena rock, sostituendo le vecchie glorie con gruppi radicalmente diversi, nelle sonorità e nel look. Lo spazio è conquistato dal furore nichilista, da pochi accordi e poca tecnica, compensati però da nuove idee, sperimentazioni e stravolgimenti estetici e musicali. Chi è ancora attaccato al vecchio Prog o alle vecchie rockstar è quasi costretto ad abiurare, a celare i propri gusti di fronte alla mole di novità sempre più avventurose e dai suoni inauditi che appaiono sulla scena musicale. E così, da “Mamma Dammi La Benza”, autentica hit dell’underground bolognese del 1977, a nome Centro D’Urlo Metropolitano, nel giro di tre anni si passa al conturbante e alieno Sick Soundtrack, primo lp, preceduto dal singolo “NevadaGaz” / “Blue Tv Set”, tutti e due editi dalla incredibile fucina di nuovi talenti Italian Records. Giorgio “Andy Nevada” Lavagna, voce e tastiere, Ciro “E. Robert Squibb” Pagano, chitarra, Sandro “Billy Blade” Raffini, sax e tastiere, Marco “Chainsaw Sally” Bongiovanni, basso, Mauro “Bat Matic” Dondini, batteria, allestiscono un lavoro assolutamente originale per l’Italia di quegli anni e, incredibile a dirsi, per nulla inferiore a tanti dischi e formazioni inglesi o americane. Dopo vari cambi di formazione e collaborazioni varie, scaturite dalla frequentazione della casa occupata Traumfabrik di Bologna (dove giravano anche Andrea Pazienza e Filippo Scozzari), i cinque riescono alla fine a organizzarsi in modo stabile e a mettere a frutto la loro creatività proprio con questo disco che, giustamente, sarà accolto con favore da appassionati e stampa specializzata.
Non siamo in presenza di un lavoro facile, ricco com’è di suoni talvolta disarticolati, voci inquiete, completa assenza di assoli o virtuosismi sonori, stretto tra l’essenzialità punk e le sperimentazioni No Wave/New Wave. Provate a confrontare qualsiasi disco di rock italiano pre-1977 con la musica dei Gaznevada: la distanza è siderale, come fossero prodotti di mondi assolutamente diversi, diremmo quasi contrapposti. Sembrano passati molti più anni degli scarsi dieci che separano gli esordi del Progressive italiano con Sick Soundtrack oppure con le evoluzioni del rock demenziale e i primi timidi tentativi punk legati a città come Bologna e Firenze. O a luoghi assolutamente secondari in termini musicali come la Pordenone di The Great Complotto, avventurosa e assolutamente sperimentale compilation (sempre Italian Records) che testimonia una scena ricca e vivace. Ma tra Confusional Quartet, Pale TV, Stupid Set, i veterani Skiantos, e tante altre piccole formazioni o uscite discografiche, sono proprio i Gaznevada con il loro primo album a rifulgere quale sintesi efficace e originale dei suoni e delle musiche nuove uscite come una massa incandescente dall’uragano punk che in Italia, ovviamente, era arrivato con il consueto ritardo.
Tra accenni di Talking Heads e Devo, i cut up di Borroughs, suoni elettronici e sonorità algide, bassi in primo piano, la ruvidezza e l’oscurità di un certo post punk, il disco ancora suona attuale. E godibile. “Japanese Girl” e di “Oil Tubes” col loro funky alieno, “Going Underground” e “Nightmare Telegraph” coi loro richiami ai Contortions di James Chance, “Pordenone Ufo Attack” che omaggia il Great Complotto, “Tij-U-Wan” che rimanda a un Oriente futuristico e ruvido: tutte sono piccole composizioni dal fascino particolare, ritratti sintetici di un mondo che guarda fuori dai patri confini, e lo fa con originalità e consapevolezza dei propri mezzi. E c’è spazio anche per lo stralunato rockabilly di Billy Blade & The Razors, effimera formazione messa in piedi da Sandro Raffini e autrice di “I See My Baby Standing On A Plane”, 45 giri allegato alle prime mille copie di Sick Soundtrack. A questo punto la storia prende traiettorie inaspettate. Nonostante le grandi difficoltà di emergere per la New Wave italiana ma forti del (relativo) successo, i Gaznevada realizzano nel 1981 il mini Lp Dressed To Kill, sorta di colonna sonora del film di Brian De Palma. E qui iniziano ad emergere le attitudini dance del gruppo, pur ancora segnate dalla sperimentazione e da sonorità alternative. È un lavoro sicuramente pregevole dal punto di vista tecnico, per la qualità della registrazione ma anche per la convinzione e la precisa identità che il gruppo esprime. Rimangono i riferimenti ai Devo e ai Talking Heads così come al suono della New Wave inglese, ma la musica contiene alte dosi di originalità, con quelle atmosfere oscure e misteriose, il suono secco, tagliente, e i brani che corrono spediti verso un finale sorprendente: una versione allucinata e inquietante di “When The Music Is Over” dei Doors di Jim Morrison, che illustra perfettamente lo strappo radicale, rispetto al vecchio rock, compiuto dalla rivoluzione punk e post punk. Purtroppo, le avvisaglie dance di Dressed To Kill, unite all’abbandono del gruppo da parte di Giorgio Lavagna, si tradurranno nel 1982, con i singoli “Ragazzi Dello Spazio” e “(Black Dressed) White Wild Boys”, nella sciagurata svolta pop/dance. E la scelta del cantato in italiano da questo punto di vista è significativa. Da qui in avanti, con l’album Psicopatico Party, si tratterà di un altro gruppo, di altri mondi, altri suoni e, purtroppo, della fine degli Invincible Guardians Of World’s Freedom, così come si erano autodefiniti i Gaznevada di Sick Soundtrack.
A ricordarci la particolarità e il fascino di queste musiche è sopraggiunto, lo scorso anno, un cd comprendente il primo 45 giri NevadaGaz/Blue TV Set, Sick Soundtrack, il 45 giri di Billy Blade & The Razors, Dressed To Kill e la mitica “Mamma Dammi La Benza”, con intrigante booklet ricco di foto, frammenti di recensioni dell’epoca e bella presentazione di Federico Guglielmi. Un atto dovuto, certamente.