GALATI, Alps
Gli elementi naturali sono più di una suggestione per molti musicisti. Una volta avremmo parlato di new age oppure di ambient, od altro ancora.
Conosco molto poco Roberto Galati, so di lui che è un camminatore, che ama i paesaggi sconfinati e che, probabilmente, in solitaria, percepisce il suo respiro e il battito del suo cuore come elementi interni ad una sinfonia del territorio. Le Alpi, i paesaggi, la solitudine in natura, temi che in qualche modo mi rincorrono nell’ultimo anno, in particolar modo dalle variazioni alpine di Enrico Coniglio e dalla neve nera di OLO. Poi rappresentano quella catena che, vista la mia residenza elvetica, molto ha a che fare con il mio immaginario e con la mia più recente modalità di ascolto musicale in solitudine. Anche qui sento in maniera non filtrata ed estremamente seducente l’esperienza di Roberto, i suoi movimenti, le sue ricerche e i suoi tentativi. Tirate lucide e fredde come “Rushing Streams”, scrigni che sanno di spezie come “From East to West”, brani colmi di frizioni e di scarti. Alps è un disco tormentato e dinamico, lavoro da cui – non solo l’ascoltatore ma Roberto medesimo – si suppone esca trasformato. Un disco impegnativo, che ci sono sferzate e voli pindarici, le temperature si abbassano e basta un passo sbagliato per finire nelle rogne. Ma in Alps, strano ma vero, sembra di risentire anche un languore marittimo, di correnti e di risacche, come nella languida “Ice Crystals”. Certo, scavando indietro tutto è collegato, le placche, le frizioni, l’esplodere della materia in catene montuose. Forse è proprio in quell’essenza primigenia che bisogna cercare le alpi di Galati. Forme in movimento dirompente, ormai statiche. Tumuli di specie e civiltà, enormi simboli di passaggio, di scambio e di divisione. Musica dal cuore, che prorompe dal petto squarciandolo, lirica nella sua assenza vocale.