FYEAR, Fyear
Voci e suono, fra slam poetry, jazz, post-rock e la sensazione di un sound che possa esplodere nel suo viaggiare perennemente ai limiti. L’attacco è da urlo, sax, voce e tromboni che vanno a pulire tutto il cataclisma crescente che aveva lanciato “Trajectory” in una serrata e ansiosa dichiarazione d’intenti. Jason Sharp (quattro album in solo sull’etichetta di Montreal) e Kaie Kellough (scrittore e poeta, con un album al suo attivo dieci anni or sono su Howl!, che diede asilo a spiriti a noi affini quali Stefan Christoff, Sam Shalabi e Joseph Sannicandro).
L’incrocio di voci e fiati (ospite quella di Tawhida Tania Evanson nella seconda parte, titolata Mercury Looms) crea diverse possibilità di ascolto, con parole e discorsi che si affastellano fra loro tornando ad essere puro suono e ritmo, in accompagnamento alla musica, insieme elegante e visionaria. Tutto diventa mormorio, cicaleccio e chiacchiera nel terzo brano, che riduce i vocaboli a scat e squittii mentre intorno gli archi creano un fondo lirico sul quale i fiati fanno il vuoto per poi aprirsi, lasciando spazio a parole che paiono aeree e sacrali. Poi in “Degrees” sembra ci si sposti in un’atmosfera più rarefatta (data l’altezza) nella quale il fiato utilizzato per azionare i diversi strumenti e le diverse parole ci arriva quasi in maniera inconscia come messaggio politico e di azione tramite una sorta di lallazione in crescendo stupefacente. In “Misconception” si sentono piani di conquista lunari in una sorta di atmosfera thrilling con le due voci che alternate esaltano sempre più la disgregazione della musica fino a partire, su “Precipice”, con un extrabeat straordinario su un pattern digitale che viene raddoppiato solo dopo un minuto da Tawhida, permettendo a Kaie di prendere finalmente fiato e di allentare la presa regolandosi su una musica sempre più accogliente, accondiscendente e rilassata. Le voci si fanno suadenti fino blandirci e, proprio quando pensiamo di essere arrivati all’estasi, il crescendo ci riporta a un’aspra tensione, con un’intensità celestiale che ci porta all’ultimo brano. Pure “Pursuit”, dove il futuro scotta e salta sulla lingua di Kaie, poi incontra di nuovo Tawhida, in un calderone dove hip-hop, poesia, free jazz e funk si spintonano l’un l’altro fino al termine, quando trovano una coesistenza pacifica.
Disco vitale, ricco e stupendo per un ensemble che potrebbe essere letteralmente una bomba dal vivo, colorato da una registrazione brillante che riesce a far letteralmente vibrare ogni elemento, dandogli luce e forza.