FUZZ, A.R.T.
I Fuzz da Ivrea si presentano con assetto basso-batteria-due chitarre-voce e cominciano dandotele forte, ma tanto forte, e continuano anche dopo che ti hanno buttato per terra. Fuor di metafora, non penso si offendano se scrivo che sono molto influenzati dai Novanta alternativi americani. Cantando in italiano, poi, inevitabilmente fanno andare col pensiero a Marlene Kuntz o al Teatro Degli Orrori, ma succede con molti gruppi che si inseriscono in questa “tradizione”: a me, ad esempio, in passato sono finiti per le mani i rispettabilissimi Elettrofandango, per i quali si può fare lo stesso discorso.
I Fuzz hanno le carte piuttosto in regola: in generale alzano un muro molto spesso di suono (per fortuna, come detto, ci sono due chitarre), nello specifico si avvantaggiano della spinta di un buon batterista, potente e “punitivo”, e della capacità di tirar fuori quel tipo di riff che vuole sentire chi ascolta noiserock, stoner e quello che c’è nel tragitto tra questi due generi. La voce è ancora migliorabile nelle parti urlate e – come per tantissime band all’esordio – la speranza è che riescano a spargere sul prossimo disco un po’ di quella polverina magica che si chiama “taglio personale”: non ce ne vuole tanta, perché in questi casi ti basta avere la botta se non sei originale, e loro la botta ce l’hanno.