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FUTBOLÍN, Futbolín

Futbolin1

Per chi si stesse chiedendo da dove provenga un nome così strambo, vale la pena precisare che deriva dall’etichetta attaccata a un vecchio calcetto di legno (noi lo chiamavamo biliardino, i nostri nonni calcio balilla) scoperto da tre ragazzini in un sottoscala. Storia vera o leggenda metropolitana poco importa, perché l’essenza di questo disco sta tutta qui, in tre amici che si ritrovano a suonare come adolescenti alle prese con un nuovo gioco, senz’avere nessuna rotta precisa e, soprattutto, nessun interesse a dimostrare la loro tecnica o a lavorare di fino sulle costruzioni. Qui troverete solo urgenza, corse a perdifiato verso la sala prove che si riverberano nella foga con cui ci si accanisce sugli strumenti, tra screamo, post-punk e sghembo noise minimale, chitarre che sferragliano peggio di un trenino di latta, tastierine che intonano melodie semplici semplici e persino qualche accenno pop tanto per rendere il tutto più acerbo e spontaneo. Piaccia o meno all’ascoltatore, questo poco sembra importare ai Futbolín, dato che si direbbero più concentrati a recitare il loro “Stand By Me” personale, a ripercorrere le giornate irripetibili di un tempo che non tornerà più, senza spocchia o presunzione, piuttosto con lo sguardo disincantato di chi vuole fermare un ricordo e non sa se farà in tempo a coglierne ogni dettaglio. Per questo ciò che ne esce è una foto un po’ mossa, non sempre a fuoco e non sempre ripresa dall’angolatura migliore, eppure proprio per questo credibile e piacevole. Troppo poco forse per conquistare grosse masse di pubblico, ma anche abbastanza onesti per risultare simpatici e stamparci un bel sorriso in volto. Niente di più, niente di meno.