FUJI|||||||||||TA, MMM
Lui si chiama Yosuke Fujita, è giapponese, costruisce i propri strumenti, in primis degli organi a canne: adesso così tutti sappiamo perché il suo nome di battaglia ha quella grafia particolare e ci facciamo una pensata sulla componente visiva delle sue performance dal vivo e della sua arte in generale. Se uno ha dubbi su come collocarlo musicalmente, una breve ricerca è d’aiuto: ai festival è sempre in cartellone con minimalisti vecchi e nuovi, da Charlemagne Palestine a Kali Malone, da Christina Kubisch a Sarah Davachi. Fino ad oggi lo si conosceva per iki (“respiro”), un suo disco sulla svizzera Hallow Ground proprio come MMM, uscito un mesetto fa. Il primo pezzo ripropone il drone soprannaturale e quasi impalpabile dello strumento autocostruito di Yosyke, su cui – senza caricare troppo – aggiunge una serie di semplici ingranaggi sonori: meraviglioso, se piace il genere. Il secondo pezzo è – pare – ispirato dal canto gutturale degli Inuit, quindi suono completamente diverso ma stessa impostazione (reiterazione di figure semplici). Il terzo brano intreccia organo e riprende – più o meno – i giochi vocali del suo predecessore: chi si è lasciato prendere per mano da Fujita ha già attraversato lo specchio e il rischio, come sempre, è quello di non tornare più indietro.