FRANZ ROSATI e FRANCESCO SAGUTO
Cosa succede quando un sound artist e un chitarrista “classico” si incontrano? La risposta è Gridshape. Dopo la recensione, ecco l’intervista.
Perché “Gridshape”? Vi va di spendere due righe su di voi, specie Francesco (che ha un background meno familiare ai nostri lettori)?
Franz Rosati: GRIDSHAPE è una parola composta da due termini: GRID (griglia) e SHAPE (forma). Riguarda una serie di processi che utilizzo spesso in fase di programmazione, partendo appunto da una griglia di linee che vengono deformate fino a raggiungere una forma geometrica complessa. Gridshape, dal punto di vista estetico e nel suo sviluppo, ha subito lo stesso tipo di trasformazione. Siamo partiti da idee semplici e lineari, improvvisazioni, sketches che abbiamo inserito in questa griglia mentale, deformandola nel corso del tempo, prova dopo prova, anche in modo molto lieve, arrivando poi alla sua struttura finale. Abbiamo avuto quindi tre fasi di realizzazione. Per dirla in modo hegeliano: tesi, antitesi e sintesi. Siamo partiti dall’improvvisazione pura, solo in seguito abbiamo realizzato questa griglia, che abbiamo poi deformato e adattato innestando in essa le idee estrapolate dalle sessioni di improvvisazione. Detto questo, il progetto rimane qualcosa di suonato dal vivo, sempre. Anche Yuri (HOPNN) ha lavorato nella stessa direzione per quanto riguarda l’artwork. Il nome GRIDSHAPE è stato inscritto in una griglia 3×3 che Yuri ha utilizzato anche per realizzare il font del nome stesso, come fosse una sorta di quadrato magico. Il discorso legato alla geometria e alle proporzioni poi è qualcosa che viene direttamente dall’interesse che ho sempre nutrito verso la geometria sacra e l’utilizzo che se ne fa in molte tradizioni mistiche, ma è un argomento che non mi piace palesare in modo diretto con riferimenti didascalici.
Francesco Saguto: Gridshape è per me il punto di partenza dal quale prende forma la composizione, è come se la griglia iniziale sottintendesse un certo ordine mentale pre-esistente. Concordo con Franz nell’affermare che in essa confluiscono e convivono influenze musicali apparentemente eterogenee, che non cercano uno scontro violento a priori ma naturalmente ricercano sinergia.
Il mio percorso musicale è abbastanza complesso. Ho iniziato dalla musica pop-cantautorale americana e italiana: Cat Stevens, Bob Dylan, Tenco… Ho ascoltato di tutto: dal blues al metal passando per il grunge. Ho studiato jazz, tuttora lo suono, adoro la forma-canzone e l’improvvisazione che c’è anche nella bossanova, nel samba, nel choro. I compositori che sto ascoltando in questo periodo in ambito classico sono Erik Satie e Igor Stravinsky. Del primo mi ha completamente rapito “Le Fils des Etoiles”, del secondo… mi piace praticamente tutto: “The Firebird, “Petrushka”, le tre sinfonie, “Ragtime”, “Le Sacre Du Printemps”… Ascolto la musica classica indiana, in particolare Ravi Shankar (purtroppo sono venuto a conoscenza della sua morte avvenuta nel momento in cui ti sto rispondendo). Diciamo che non mi interessa uno stile in particolare, sono curioso verso la musica che possa in qualche modo accrescere il mio bagaglio, la mia persona, la capacità di ascolto.
Tutto ciò si riflette in seguito nella composizione. Insieme a Franz, che mi ha introdotto al mondo della musica elettronica, del noise e dell’arte contemporanea più in generale, riesco a comporre in un modo nuovo, le cui possibilità mi affascinano molto. Le nostre personalità sono e restano comunque diverse: abbiamo semplicemente trovato un equilibrio spontaneo sia nel rapporto umano sia in quello musicale.
Ho letto un’interessante descrizione sull’artwork e sulla sua interpretazione “mimetica”. Una domanda: voi al vostro disco li associavate quei colori così caldi?
Franz Rosati: In realtà sì, penso banalmente alle valvole degli amplificatori anche se non sono stati utilizzati in modo così predominante. Il colore rosso è stata una mia richiesta specifica riguardo l’artwork. In ogni modo l’idea timbrica era anche quella di confermare la possibilità di avere un suono digitale “caldo”. Non sono un seguace delle teorie sul “digitale-freddo / analogico-caldo”, penso che sia tutto in mano a chi utilizza uno strumento e in quale modo. Ovviamente i due domini hanno delle differenze abbastanza palesi, ma credo che alla base di tutto ci sia comunque l’intenzione. Tornando all’artwork, so bene che la cover possa risultare distante da alcune abitudini grafiche associate alla musica elettronica e ambient e questo per me è uno stimolo ancora più interessante. Su dischi precedenti di Nephogram, ad esempio, gli artwork rimandano ad associazioni più classiche e sono basati su materiale fotografico di paesaggi o particolari naturalistici come nel caso di Porya Hatami e Darius Ciuta, mentre per Cotrone di Andrea Valle ho utilizzato le immagini realizzate da Marcel·lí Antúnez Roca stesso, autore dello spettacolo performativo di cui Cotrone è colonna sonora.
Francesco Saguto: Io non ho mai amato il rosso, preferisco colori come il blu o il grigio. Quando ho visto la copertina… ho cambiato idea. È totalmente in linea con la nostra composizione, anche per i motivi di cui sopra, legati al nostro approccio compositivo e musicale. Sul supporto fisico poi questa cosa è stata ripresa con sei piccole impronte mimetiche, ciascuna in una posizione diversa. Devo ammettere che Franz è un vulcano di idee.
Ultimamente mi è passato per le mani un bellissimo disco di casa 12k, autore Kane Ikin. Quindi, scusate, ma ho l’ovvia domanda in canna: cosa mi potete raccontare di Taylor Deupree e del suo lavoro di mastering per voi?
Franz Rosati: Molto veloce, preciso e decisamente rispettoso del materiale di partenza. E per noi questo era fondamentale. Non trovo molti processi di adattamento anche nel mastering, qualcosa – effettivamente – di necessario quando a metterci le mani è qualcuno come Taylor: la differenza è percepibile proprio nella delicatezza dell’intervento e nella capacità di dargli un ritocco finale sensibile e preciso.
Francesco Saguto: A noi non piace molto il riverbero, personalmente prediligo quello naturale se c’è, altrimenti niente. Quello che voglio ascoltare è il suono puro e lavorare su quello: in questo Taylor è stato grandioso, se ascolti la chitarra ti rendi conto della naturalezza del suo suono caldo, si sente il legno.
Il mio primo pensiero, per così dire “epidermico”, sentendo il disco, è stato il Fennesz di Black Sea. Frequentate – come ascoltatori – lui, Tim Hecker o altri che si sono posti il problema di coniugare laptop e chitarra?
Franz Rosati: Ho ascoltato Fennesz in passato, sopratutto i suoi primi lavori. Diciamo che per me la necessità di lavorare con la chitarra c’è sempre stata, anche nei miei progetti in solo uso moltissimi suoni di chitarre, cordofoni o cose che registro in studio e poi elaboro solamente dal vivo. L’idea di collaborare con Francesco è stata però impellente dal momento in cui avevo bisogno di confrontarmi con un musicista che non fosse una semplice sorgente sonora, ma qualcuno che sapesse articolare un pensiero musicale indipendente dal mio, per confluire poi insieme in un’idea ultima e rappresentativa del sistema diadico che andavamo a costituire. Metto il dialogo e il confronto musicale al di sopra della semplice sperimentazione timbrica.
In questo, rispetto ai miei lavori, ho deciso di mettermi anche da parte, in un certo senso. Per esempio: i due minuti di chitarra in solo o l’elettronica che elabora feedback e distorsioni e perde completamente la sua connotazione. Ci piaceva l’idea di creare un momento di dubbio, una difficoltà di messa a fuoco su alcune timbriche e articolazioni, su alcuni ruoli dello strumento acustico o elettrico nella musica elettronica, su quello che può essere definito ambient o noise, lasciando la chitarra assolutamente in evidenza, e limitando le possibilità timbriche e di articolazione di quello che posso fare con il mio software al solo processare la chitarra suonata da Francesco. In tutto questo c’è anche la totale assenza di riverberi di cui ha già parlato Francesco: per me è un punto abbastanza fondamentale, ne evito completamente l’utilizzo, sia in studio che dal vivo.
Fracesco Saguto: Non conosco Fennesz, ho letto e ascoltato qualcosa in questi mesi. Rispetto il suo lavoro che però è molto diverso dal mio. Io sono principalmente un chitarrista, mi ispirano concetti diversi sia ritmici che melodici. Ascoltando per esempio “Progression Through Transmutation” ci si rende conto del lavoro sul ritmo che ho iniziato, e che continuo a sviluppare nelle mie nuove composizioni. In questo mi aiuta molto la pratica del Konnakol (India), l’arte di improvvisare con la voce per mezzo di frasi ritmiche.
Francesco, le tue prime risposte mi fanno venir voglia di chiederti se c’è stato un momento di “shock culturale” per te durante questa collaborazione.
Bella domanda. Sì. Consapevolmente vado incontro ad esperienze musicali che comportano un’evoluzione nel mio modo di suonare e di conseguenza della mia capacità di capire la musica. Ad esempio, per quanto riguarda i suoni: sto imparando ad ascoltare e a codificare quelli della musica elettronica, per me è sconvolgente visto che vengo da uno studio di tipo jazzistico e sono abituato ad interagire con strumenti quali il contrabbasso, la batteria, i fiati, il pianoforte. Lo spettro sonoro dell’elettronica è molto più ampio, tridimensionale direi: questo mi stimola tantissimo nell’arrangiamento, mi spinge nel trovare soluzioni per me nuove per quanto riguarda il timbro, la dinamica, l’armonia. Ecco, l’armonia. Il jazz, ad esempio è pieno di cadenze complesse che creano “movimento” all’interno di un brano: II-V-I, sostituzioni di tritono, dominanti secondarie, insomma si fa un gran lavoro con gli accordi. Concepire un brano su un accordo solo e lavorare sui suoni di quell’accordo, estrapolarne un arrangiamento, mi offre delle nuove possibilità. Poi c’è tutto l’aspetto ritmico. Per me ritmo è anche la parte elettronica in “Shifting Threshold” la penultima traccia del disco Gridshape: la si può ascoltare sotto la chitarra che è inizialmente in primo piano, una specie di permutazione dell’accordo C D G (Do Re Sol). Il ritmo è anche “Free Jazz” di Ornette Coleman, non solo il bellissimo brano “I Feel Good” di James Brown. Credo che bisognerebbe ascoltare più musica che utilizzi una scansione ritmica libera, non regolare. Mi vengono in mente a riguardo: “The Cathedral Of Tears” di Robert Fripp, “Raag Bihag” di Ravi Shankar. Questo modo di suonare è usato in molti generi musicali tra i quali l’ambient, il jazz, la musica indiana.
Cos’è uno “stato liminale”?
Franz: Un momento di passaggio da uno stato all’altro. Si parla di stati liminali sopratutto in riferimento ai rituali di iniziazione tribali, ma trovo il concetto facilmente applicabile, in senso metaforico, a qualsiasi esperienza o trasformazione. Lo stato liminale quindi è per definizione il momento esatto, la soglia di confine, in cui il soggetto che affronta la trasformazione si trova completamente investito dal processo di cambiamento. È un momento che può essere visto come di enorme confusione e spaesamento, ma allo stesso tempo è lo stato mentale in cui si sviluppano le difese e le strategie per affrontare il passaggio di stato. Trovo che il rituale di passaggio o di iniziazione, in genere, sia una delle più antiche, complete e complesse metafore applicabili a ogni situazione della vita stessa. Sono processi che si verificano anche in molti modelli fisici o chimici di trasformazione, nelle trasformazioni geologiche o sociali, hanno solo nome differente.
Francesco Saguto: “Limen” significa confine, lo stato liminale è una fase di cambiamento, è applicabile a molte esperienze di tipo diverso, come già ha accennato Franz. Ben si addice al lavoro sul suono che abbiamo sviluppato in Gridshape, tutto incentrato sulla chitarra in continua evoluzione sia timbrica che ritmica.
Per futuri progetti che coinvolgono il video, collaborerete con Giuseppe di xx+xy visuals, due artisti che seguo dai tempi del loro tour assieme a Murcof. Che cosa avete in mente? Che te ne pare di Luma, dove si cimentano anche con la musica? Ho visto che gli hai dato spazio sul sito di Nephogram.
Franz Rosati: Seguo il loro lavoro da tanti anni, siamo entrambi su Roma ed è stato facile nel tempo confrontarsi e incontrarsi fino a far nascere dei progetti insieme e Luma è un lavoro che ho amato moltissimo già dai primi live che vidi. Con Gridshape ci sarà una collaborazione, in particolar modo con Giuseppe Pradella, coinvolto nella produzione dei visuals. Abbiamo fatto solamente una data insieme per il momento, ma il risultato è stato esaltante. Giuseppe ha mantenuto il colore rosso come predominante, applicando un discorso estetico molto in linea e coerente con la produzione artistica di xx+xy.
Francesco Saguto: Giuseppe Pradella lavora su trasformazioni estremamente lente, abbiamo performato insieme in occasione della serata dedicata al disco Gridshape in un live a Roma. Sono rimasto sorpreso dai suoi visuals. L’accostamento alla nostra musica è perfetto.
Franz, ti va di dirci anche i tuoi progetti futuri con Nephogram?
Per ora sono in fase di progettazione con quattro nuove release su cd che verranno annunciate per l’inizio del 2013 insieme ad ep di artisti più giovani che usciranno in digital download. Saranno artisti italiani, che conosco personalmente e che stimo, e con buona probabilità – tradendo le mie intenzioni iniziali – tra queste release ci saranno anche un mio nuovo lavoro e una nuova collaborazione. Sto valutando l’idea di produrre dei dvd, ma purtroppo i costi sono sensibilmente maggiori e anche la produzione degli stessi richiede passaggi differenti e più articolati rispetto al cd.
Francesco, anche tu ti muovi in tante direzioni. Hai in programma album solisti o altre collaborazioni?
Un album solista è un sogno nel cassetto. Quando sarò pronto ed avrò il materiale necessario lo farò, è un mio obiettivo. Per le collaborazioni mi piacerebbe continuare con Franz, abbiamo nuove idee. Ho una collaborazione che va avanti da anni con la cantante Leila Bahlouri. In generale prediligo le piccole formazioni, è un approccio istintivo.