Frank Zappa: il vero punto di non ritorno
Nel corso di questo 2013 si è parlato molto del ventesimo anniversario della morte di Frank Zappa, caduto qualche giorno fa, il 4 dicembre. Gli articoli che sono stati scritti ribadiscono le solite, legittime, considerazioni su di lui: era forse il più grande compositore del ‘900, uno dei più innovativi musicisti del secolo scorso, uno dei pochissimi artisti che non possono non essere ritenuti dei geni assoluti della musica. Non penso di essere il maggior conoscitore dei suoi lavori, né il fan più accanito, ma nella mia vita ha avuto un grandissimo peso. Preferisco quindi, in questa sede, spiegare chi era Frank Zappa raccontando come ho vissuto la sua musica.
Non riesco a ricordare il momento esatto in cui l’ho scoperto, ma c’è stata un’occasione particolare che ha fatto scattare qualcosa in me: di norma non credo agli eventi che cambiano la vita, ma in quel caso specifico non poteva che essere così. Verso la fine del 2005 mio padre decise di portare me e mio fratello alle lezioni di rock che ai tempi Ernesto Assante e Gino Castaldo tenevano all’Auditorium qui a Roma. Il tema era Frank Zappa, e il caso volle che quel giorno Castaldo non fosse presente, sostituito da Riccardo Bertoncelli (proprio quel Bertoncelli di cui parla Guccini ne “L’avvelenata”, canzone che al tempo neanche conoscevo). Non ricordo bene come si svolse la lezione, ma le parole dei due noti critici musicali mi lasciarono folgorato: non era certo la prima volta che sentivo la sua musica, ma in quel momento ebbi una sorta di illuminazione. Tornai a casa finalmente avendo capito con cosa avevo a che fare. Quello che mi mancava era una panoramica generale dei suoi lavori, del suo modo di comporre e dei suoi obiettivi. La sua produzione è così sterminata che non si può prendere un disco a caso e capire immediatamente tutto quanto: è come pensare di trovarsi in una città che non conosciamo sperando di sapere subito come raggiungere i luoghi desiderati. Non è un caso infatti che, sebbene il suo sia un nome conosciutissimo, gli zappiani non anglofoni (che non possono cogliere i doppi sensi e le allusioni dei suoi testi) siano abbastanza pochi.
All’epoca ero uno di quei classici metallari che a sedici anni ascoltano solo metal, anche perché devono ancora conoscere molti dischi fondamentali del genere. Zappa non ha fatto quasi nulla che si avvicinasse al metal (sebbene abbia collaborato con Steve Vai), ma la sua musica mi folgorò, e da allora è stato uno dei miei ascolti principali in ogni mia fase futura, indipendentemente da che che cosa fossi preso (death metal, grind, hardcore, post-punk o quello che era). Non riesco a vivere senza di lui, anche perché è l’unico artista che, secondo me, non può essere apprezzato con un ascolto solo. Ogni suo disco non può essere compreso prima di averlo sentito almeno dieci volte, sia quelli strumentali, sia i lavori pieni di battute degli inizi.
Il suo è uno dei rarissimi casi in cui una grandissima dose di creatività è direttamente proporzionale all’abilità tecnica: questo permette di riuscire a esprimere ogni propria idea senza mai risultare né ampollosi né ripetitivi. È probabile che sia stato l’unico musicista del ‘900a riuscire letteralmente a divertire gli ascoltatori: se non con testi deliranti, allora con arrangiamenti sempre freschi e particolari, testimonianze di una predilezione per i suoni più strani e impensabili. La sua è sempre stata una ricerca sonora del tutto libera da ogni schema, davvero “Absolutely Free”, difficilmente imitabile e riproducibile. Amava circondarsi dei musicisti migliori sulla faccia della terra, cercando di non limitarli mai: questo non stupisce, perché senza gente come Ian Underwood, Terry Bozzio, Warren Cuccurullo, Vinnie Colaiuta, George Duke, Ike Willis, Roy Estrada, Bruce e Tom Fowler, Tommy Mars, Steve Vai e tantissimi altri, i suoi dischi non sarebbero mai stati gli stessi.
Una delle poche cose che ricordo di quella lezione è che Bertoncelli raccontò che considerava Frank Zappa la massima espressione della felicità. In tutti questi anni, continuo ad essere d’accordo: la sua musica è veramente felice, rappresenta una felicità cosciente delle bellezze di questo mondo. In un’intervista che trovate anche su YouTube a Elio e Faso degli Elio e Le Storie Tese, il primo spiega che la gente di talento può essere divisa in due gruppi: i “noiosoni” e i “simpaticoni”. I primi, cialtroni e non creativi, impediscono spesso ai secondi di esprimersi. Si sa: Zappa apparteneva alla seconda categoria, ed è stato così fino al giorno della sua morte.
Ecco qui una top five, come logico personale, sui lavori di Zappa da ascoltare a tutti i costi:
1. HOT RATS
Dedicato all’appena nato Dweezil, è un disco interamente strumentale, a parte “Willie The Pimp”, con alla voce l’amico/nemico Captain Beefheart. Nonostante fino a non molto tempo prima i testi siano stati una parte fondamentale della sua musica, qui non sono più necessari: lascia parlare gli strumenti. Oltre alla chitarra di Frank, il violino di Jean Luc Ponty e i fiati di Ian Underwood regalano grasse emozioni. In pochissimi lo sanno, ma “Peaches In Regalia” è stata per lungo tempo la mia canzone preferita.
2. JOE’S GARAGE
Concept album in 3 atti, sulla bizzarra storia di Joe. Il filo narrativo è il Central Scrutinizer che compare in ogni canzone, che non è altro che Zappa che racconta sottovoce lo svolgersi degli eventi. Tutto il primo disco è molto celebre (la title-track e “Catholic Girls” sono famosissime), e “Watermelon On Easter Hay” è citata ovunque. C’è anche una delle pochissime canzoni d’amore dell’intero repertorio zappiano, “Lucille Has Messed My Mind Up”, con una grandissima prova vocale di Ike Willis.Uno dei suoi album più accessibili e facilmente apprezzabili, e oltretutto uno dei più geniali.
3. THE GRAND WAZOO
Altro lavoro interamente strumentale, aperto dalla lunga, omonima suite. Soprattutto qui Zappa riprende moltissimo da un jazzista scomparso molto giovane, il grandissimo Eric Dolphy (il cui unico disco, “Out To Lunch” è una delle pietre miliari del genere). Episodi come “Cleetus, Aweetus Awrightus” e “Eat The Question” non sono così noti, ma forse sono tra i parti migliori di tutta la sua discografia.
4. FREAK OUT!
Da molti ritenuto il vero capolavoro zappiano. L’esordio delle Mothers Of Invention è un feroce attacco verso il perbenismo della società americana della seconda metà degli anni ’60, fatto in chiave ironica e ultra-dissacrante, tramite una satira corrosiva che fece scuola. È stato forse il primo concept album della storia del rock, prima di Sgt Peppers Lonely Heart Club Band dei Beatles (che si ispirarono in parte al debutto di Frank per comporlo). Sono tutte canzoni brevi e nelle quali il testo è la parte più importante, anche se mostrano una proposta musicale che allora nessuno poteva neanche lontanamente concepire. Uno spirito libero e anti-autoritario, in musica come in politica.
5. OVER-NITE SENSATION
Uno dei dischi meno conosciuti di Zappa, con dentro alcune tra le canzoni sue più note e amate dai fan. Le sole “Camarillo Brillo”, “Dirty Love”, “I’m The Slime” e la famosissima “Montana” bastano a farvi innamorare di questo album. Ironia e abilità tecnica qui si sposano come mai prima. Un lavoro molto scorrevole ma ricco di sostanza, probabilmente la sua opera più accessibile dopo “Joe’s Garage”. Consigliatissimo anche a chi lo conosce meno.