FRANCK VIGROUX, Ballades Sur Lac Gelé
Vigroux arriva su raster: questo significa che adesso è davvero un nome importante. Si presenta con un album che aderisce come un panno bagnato alla sua cifra espressiva, che ormai ho descritto sino all’esaurimento della fantasia (e facciamo che dico adesso Mika Vainio e non lo ripeto più fino alla fine), magari solo un po’ più facile da ascoltare, forse perché un pelo meno abrasivo, forse perché i battiti semplici rendono tutto più digeribile. Del resto sono delle “ballades”, no? C’è tutto quello che mi piace di lui: il retrogusto sci-fi, la potenza, il senso di minaccia incombente, lo stridore delle lamiere che si rompono e altre catastrofi, il tutto – nonostante lui affermi che la sua è “elettronica radicale”, una ricerca del “core of sound” – in una chiave affrontabile con tranquillità dal pubblico dell’etichetta tedesca, che da quando si è separata dalla noton di Carsten Nicolai sembra diventata più semplice, accessibile e meno rigida esteticamente, il che non è una critica o un’accusa di tradimento, ma una constatazione.