FRANCISCO MEIRINO, A Perpetual Host

Francisco Meirino non ha più bisogno di presentazioni su queste pagine. La sua arte è un gradito tema di riflessione ed evoca con spontaneità i discorsi avviluppati “attorno” e “dentro” al meccanismo musicale. Quando ci orientiamo nel labirinto della contemporaneità concreta, dell’improvvisazione e del noise, non è raro che il contenuto sonoro parli, si riferisca, al proprio processo creativo e viceversa. Basti pensare al field recording, oppure a microsuoni catturati ai margini dell’atto tecnico, imperfezioni magnetiche del nastro, errori e tentativi. È il risultato epocale a cui siamo arrivati (e che stiamo attraversando) partendo dal cataclisma estetico prodotto da 4’33”: una composizione in cui è l’esterno, l’altro, a penetrare con forza nel campo dei riferimenti e simboli di un tradizionalismo artistico, significando atti e oggetti che il pubblico del Secondo Dopoguerra non poteva nemmeno lontanamente concepire come “musicali”. Cage si è fatto beffa del mondo accademico classico, gettandolo in una realtà in cui i confini fra suono, oggetto e musica, fra composizione, esecuzione e ascolto sono solo linee su una mappa, distanti anni luce dalle complessità geografiche del territorio. Le sfumature della tecno-estetica si sono stratificate così tanto negli ultimi decenni da rendere ormai opaca l’intelligibilità di un brano come 4’33”; lo stupore e la sorpresa si sono sopiti e oggi non distinguiamo ciò che chiamiamo musica dalle forze aliene che abitano la realtà e che possono manifestarsi come suono. L’attuale azione artistica si innesta anche su questo desiderio di riscoperta, di epifania, una praxis che sia in grado di donarci un orecchio pre-semiotico, capace di cogliere l’evento acustico a prescindere dalla sovrastruttura estetica che la cultura contemporanea, dal Secondo Dopoguerra, vi ha minuziosamente costruito attorno. Ma com’è possibile annullare questo incantesimo? Il mare magnum della musica moderna potrebbe essere visto come un campionario di azioni di guerriglia e sopravvivenza che instancabilmente cerca di invertire la cronologia per (ri)portarci a un Eden sonoro di vero stupore e meraviglia.

Anche Meirino fa parte di questo flusso, ma anziché cesellare i propri strumenti con il perfezionismo della pratica, la sua lente si focalizza sul tentativo e, in particolare, sul fallimento. Il mondo di A Perpetual Host è un susseguirsi di panorami desaturati, periferie abbandonate fra le cui rovine si intravedono ombre senza corpo, si odono suoni senza fonte. Un’acusmatica in tono minore, rielaborata e deformata dai più diabolici ritrovati dell’elettronica. Sintetizzatori modulari innestati su Frankenstein di field recording e frammenti acustici. Invece di slanciarsi verso l’utopia dell’accelerazione musicale, sorretta dall’ubiqua visione neo-positivista della tecnologia, Meirino agisce in perenne involuzione, riesumando i cadaveri di ciò il processo compositivo lascia volutamente indietro: esplosioni di rumore, detriti e imperfezioni, strumenti malfunzionanti, onde radio de-sintonizzate. Così facendo l’attenzione si sposta dal sipario alle quinte, l’interno diviene l’esterno e l’intelaiatura tecnica che normalmente sorregge, invisibile, il processo creativo, diviene la composizione stessa. È un sacrificio, perché ascoltare, senza filtro, la pulsante materia che si nasconde dietro al simbolo estetico della “musica” può essere doloroso o addirittura spiacevole, come fare un’autopsia. Un’ontologia dell’errore, attraverso la quale possiamo avvicinarsi all’essere sonoro nel momento del suo incespicare, dello stridore di urla elettroniche al limite dell’udibile.

Meirino non è certo l’unico ad avventurarsi in questi territori inesplorati ma la sua cifra stilistica, caratterizzata da un nichilismo senza compromessi, fa spiccare i suoi dischi. È anche vero che A Perpetual Host, per quanto respingente e abrasivo, è il culmine di un processo di maturazione che, magari inconsapevolmente, ha avvicinato l’artista ad un’idea più ortodossa di creazione e composizione musicale. Per i più coraggiosi, partendo da quest’ora di materiale, consigliamo un viaggio a ritroso nella sua, ormai vasta, discografia.