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FRANCESCO BUCCI, Zobibor

Che dolenza e visceralità si trovino così spesso nel suono dei fiati non deve stupire; polmoni, sputi, labbra… tutto quanto sporco e vitale, un messaggio diretto e senza filtri, spesso uno sfogo. Francesco Bucci parte in solitaria dagli Ottone Pesante e lo fa tenendo la propria energia al guinzaglio. A investirci ne “Il Lento Soffocare Dei Superstiti” è infatti lenta e tormentata staticità che bolle e si prepara. Zobibor è disco intenso e caldo, ma ha in sé il tremore davanti ad un’epicità quasi metal. Sembra quasi un grande antefatto del fragore di una battaglia che, forse, non ci sarà mai. Il momento prima, quando i muscoli si caricano per sferrare il colpo, quando il sangue scorre in una direzione soltanto, non c’è impatto, solo grande suono. A tratti il viaggio di Francesco mi riporta in mente il percorso di Neige Noire di OLO aka Loic Goberty dei Convulsif: jazz, spessore, musica pesante, intensità e solitudine. Scalpiccii, materia che cambia stato, “La Neve Che Scricchiola Sotto I Miei Passi” diventa acqua sporca, beat che paiono cavalli e suoni sordi. Non c’è agio, anche una marcia come quella dei soldatini sembra letteralmente sfrangersi e proseguire soltanto perché, nella caduta, si rimane comunque sulla scia di colui che ci precede. Ma siamo ormai allo sfacelo, tuba e trombone sembra combattano e siano allo sbando, con un senso del tragico che invade la scena. Zobibor sembra una bolla pronta ad esplodere, livida e piena di fragore. Questo suo trattenersi ne accentua la poetica, come vedere le fiamme di un inferno in lontananza: è un album temibile, suadente e ed accattivante. Spinge l’ascoltatore a cercarne le sfumature, come le presenze ne “Il Disperato Cercarti Nel Fondo Di Una Tuba”, ad approfondire i passi e le direzioni possibili, seguendo i passi di Francesco, le sue ricerche ed i suoi pensieri più intimi, riservati e laceranti.