FORHIST, Forhist
Non si conosce molto di Vindsval. Come insegna la saga di Varg Vikernes, nell’ambiente black metal spesso il personaggio ottiene molta più visibilità del musicista, ma al leader dei Blut Aus Nord di bruciare chiese, accoltellare gente e canticchiare improbabili hit anni Ottanta su Youtube non importa proprio un cazzo. Sappiamo che ha composto Ultima Thulée nel 1995, all’età di sedici anni, e tanto basta. Io quel disco l’ho scoperto nel 2007, quando i Blut Aus Nord erano ancora poco noti in Italia, ed è tutt’ora uno dei miei album black metal preferiti.
A più di venticinque anni di distanza Vindsval mette per un attimo da parte il lungo percorso evolutivo del suo progetto principale per compiere un solitario “ritorno alle origini” con “Forhist”, operazione di pura nostalgia con cui rende omaggio alle proprie radici musicali, ossia la scena black metal degli anni Novanta.
“Forhist” è un ottimo sottofondo per una passeggiata nei boschi dopo una giornata storta, quando si avverte il bisogno di un po’ di pace in mezzo alla natura senza altra gente attorno. Con queste otto tracce numerate (senza titolo, perché i titoli non sono trve) in cuffia e un po’ di immaginazione, i quattro alberi sopravvissuti alle speculazioni edilizie tra un Conad e un’area di sgambamento per cani potrebbero tranquillamente passare per le foreste dello Jotunheimen.
La prima cosa che colpisce di questo lavoro è che siamo a mille miglia dalle allucinazioni sonore dei Blut Aus Nord: il Vindsval di Forhist tronca sul nascere ogni possibile divagazione e ci fa capire che l’unica strada percorribile è quella tracciata dalle chitarre glaciali e dai blast-beat. Eppure l’appassionato di musica estrema coglierà ben presto i diversi elementi che rendono questo lavoro tutt’altro che ortodosso. Accanto alle primordiali sfuriate alla Darktrhone trovano infatti spazio anche passaggi più maestosi conditi da synth che strizzano l’occhio ad Emperor e primi Arcturus, e non mancano nemmeno accenni al più moderno black metal in salsa atmosferica propugnato da Wolves In The Throne Room e Deathspell Omega.
I pezzi sono privi di un’identità ben definita e si susseguono in modo fluido, al punto che distinguerli singolarmente diventa difficile: tutto si confonde in un’unica narrazione dove trovano spazio i vari dialetti del black metal. Coloro che hanno imparato ad amare questo genere in tutte le sue forme rimarranno senza dubbio affascinati dalla quantità di riferimenti e, perché no, anche dai cliché del genere qui proposti senza vergogna. Lo scopo del disco è dunque raggiunto in pieno. È pur vero che una volta terminata la passeggiata tra gli alberi e sbucati nel piazzale del Conad l’illusione finisce: in testa rimarrà solo il desiderio di andarsi a riascoltare Bergtatt, Nemesis Divina o proprio quell’Ultima Thulée da cui erano partiti i Blut Aus Nord, mentre di Forhist rimarrà impresso ben poco.