FLAVIO GIURATO, 26/1/2018
Bologna, Teatro San Leonardo. Le foto sono di Giuseppe Lanno.
Contenuto della confezione e altre informazioni (istruzioni per l’uso di un cantautore da maneggiare con cautela. Avvertenza: il foglio illustrativo contiene ampi stralci dalle canzoni degli ultimi due dischi di F.G. , a volte combinati insieme con la tecnica del cut-up)
Il principio attivo è lo sguardo profondo. Ogni compressa contiene 5 mg di sguardo profondo, 2,5 mg di realtà e 2,5 mg di immagini. Tenere questo medicinale vicino alla vista e alla portata dei vecchi e dei bambini. Effetti collaterali: ipersensibilità alle foglie, autunnismo precoce, saudade panamericana, pugni stretti, sparizione. In caso di cura, per ballare, lo so, c’è l’elettroshock. Per l’ascolto di questa musica sarebbe auspicabile una breve preparazione atletica e bere agua mineral.
Vorrei portarti sui luoghi, perché è sui luoghi che noi proiettiamo la nostra ombra e non c’è niente di più tangibile della nostra ombra. Vorrei raccontarti di un musicista visionario e scabro, fragile e monumentale, mai retorico anche quando gioca da vicino con materiali che scottano (il pezzo dedicato a Papa Bergoglio, “In Mezzo Al Cammino”, dove il rischio di naufragare nell’ovvietà era altissimo). Vorrei dirti di un concerto dove Giurato si presenta in quartetto con Mattia Candeloro alla chitarra, Federico Zanetti al basso, Ciucci Giulani alla batteria, lui in mezzo, con le fedeli Cicciotta e Rosina, le sue due chitarre, e una voce che sa di caffè e sigarette, di vento, di persiane abbassate, di terre lontane e al tempo stesso di casa: difficile dire cosa abbia di peculiare ma non ha alcuna importanza, arriva molto in profondità, anche perché porta con sé parole che sanno scovare spesso spigoli sorprendenti della realtà. Le promesse del mondo le vedo ora che il viaggio è naufragato, Italia, Italia sto volando in cielo, Italia, Italia, mi sento normalmente solo, amore, amore amore ti prenderò per mano come in un disco napoletano. È un vocabolario di lingue fertili e ferite, Giurato, allampanato, quasi stregonesco, febbrile, con il microfono a captare pure il respiro, boa a segnalare la rotta in mare aperto. Le canzoni sono una sorta di raga acustico dove il tempo è probabile ed eventuale, mai scandito, lunghi flussi di coscienza che vagano tra dinamiche e sussurri. Dal punto di vista armonico al mio orecchio tra alcuni pezzi non ci sono variazioni significative (qualcuno diceva che certi musicisti cercano e scrivono sempre la stessa canzone), ma, di nuovo, non ha alcuna importanza, passa ‘o guaglione ‘e colore, nun ce parlamm ‘cchiù, è tutta una ipocrisia, è tutta una grande ipocrisia. La voce, questo totem di pietra sbrecciato e luminoso, che indossa mille maschere e resta sempre più reale del vero, si fa invettiva, lamento, preghiera del muezzin, cronaca dolente, un quasi rap psichico e così intimo da sbalordire, speleologia, teatro, sempre a un passo dal puro respiro, piena di parole che svelano panorami. Ne “L’Ipocrisia” ascoltiamo un inaudito numero di musica napoletana crepuscolare ed è prodigiosa la capacità di Giurato di mescolare lingue, spagnolo, inglese, italiano, napoletano, per creare un idioma in fiamme eppure pacificato, personale come una radiografia e senza nulla di ermetico. Sa inoltre essere innodico senza scadere mai nel banale, pur avvicinando temi scivolosi (“Digos”). Siamo tutti quanti senza inchiesta interna, questi pezzi frugano nei misteri dell’Italia e della nostra anima, se i lupi scendono vuol dire che hanno fame, quando risalgono il destino è già sbranato, difficile trovare altre rime così potenti tra i cantautori di oggi: per capacità immaginifica e facilità di penna, oltre che per qualche assonanza musicale a volte viene in mente un De Andrè, ma sono riferimenti del tutto aleatori, la musica che ascoltiamo stasera è imprendibile, sono esercizi spirituali fatti in assenza di gravità, uno Scott Walker arci-italiano e meno nero, il Josh T. Pearson di Last Of The Country Gentlemen alle prese con i drammi dell’attualità (la tragedia del Mediterraneo al centro dell’ultimo disco Le Promesse Del Mondo), un Battisti in preda ad allucinazioni da canto libero, un folksinger di un mondo parallelo capace di muoversi tra la gravità del canto dei monaci tibetani, certe austerità da cori ecclesiastici, ironia e filastrocche. Tutto questo in un perenne corpo a corpo con l’esistente, che viene smontato, ricombinato e alla fine aumentato, grazie a uno sguardo di un’intensità straordinaria. Altro che realtà virtuale: questo concerto è stato un vero e proprio viaggio, con il folto pubblico in visibilio e l’aria elettrica per l’emozione di tutti i presenti; picchi semplicemente indicibili come “La Scomparsa Di Majorana” (dall’incredibile, penultimo disco omonimo) e perle su cui gli anni non hanno depositato manco un’unghia di polvere come “Centocelle”, “Il Tuffatore”, “Marco e Monica” (E le stelle oltre il muro sono un fatto sicuro per chi non ha gli occhi stanchi).
Le delusioni sono unite dalla ferrovia e noi prenderemo altri treni, direttissimi altrove, Flavio. Avrei dovuto intervistarti di persona stasera ma non è stato possibile, sarà per la prossima. According to me, che è più forte di secondo me, significa quello che penso io, sei un musicista prezioso e raro, uno per cui la parola poeta non sarà affatto sprecata. E grazie per averci raccontato di quando sui campi di Nettuno, dopo tre settimane di allenamento duro e una di allenamento durissimo, appena entravi in campo, dagli spalti ti apostrofavano così: A’ cinque, A’ secco, A’ stronzo!
Io nel deserto voglio rispecchiarmi, nelle macchine sostate, nel parabrezza, nel lunotto, nello specchietto laterale, con lieve piegamento della colonna vertebrale e banale ricerca dell’angolo più astuto per un temporaneo migliore risultato, quello che è vero è transitorio, parola di scienziato. The river flows and where it goes, nobody knows, according me, it flows to the sea.