FILER COLEMAN, Below/Light

Classico esempio di disco che passa completamente sotto silenzio. I motivi sono almeno due: non rientra in nessuna categoria in voga, nessuno lo promuove.

Scrivo l’inutile presentazione di Jim Filer Coleman, il classico elenco del telefono, ma solo con artisti fighi. Un minuto di pazienza: tastiere e campionamenti nei Cop Shoot Cop, tastiere e campionamenti negli Human Impact, un gruppo su Ipecac al momento costituito da lui e dai nuovi Unsane di Chris Spencer (Spencer più basso e batteria dei Daughters, questi ultimi due entrati negli Human Impact al posto di uno degli Swans, Chris Pravdika, e di uno dei Cop Shoot Cop e degli Swans, Phil Puleo); Coleman è sposato con Beth Billingsley, regista sperimentale storicamente legata alla no wave, per cui anche grazie a lei (penso fosse in grado pure da solo) ha scavato nel filone più “atmosferico” della sua creatività. Se andate a sentire le musiche realizzate da Jim Filer per una mostra di Beth B, trovate molti punti di contatto con Below/Light. Ancora una cosa, altrimenti forse non si capisce come diavolo sia finito su Silentes: Coleman ha lavorato con Teho Teardo in Here, un progetto vicino alle tendenze trip hop/drum’n’bass dell’epoca, Cop Shoot Cop e Meathead di Teardo fecero due split insieme. Nei Meathead c’era Deison, quindi un disco di Coleman vent’anni fa uscì per Nail di Udine, e pure una sua collaborazione con Foetus. Nel 2024 Deison ha proposto Below/Light a Silentes, occupandosi del layout.

Below/Light, secondo Discogs, è un album experimental/ambient: è vero, potete già andare a sentirlo e decidere da soli se vale la pena comprarlo. Si tratta di un lavoro realizzato con una pluralità di strumenti che gli conferisce un certo calore umano (hurdy gurdy, chitarra, elettronica, melodica, piano, in un caso la voce di Robert O. Leaver, che ha suonato con Filer nei This Wilderness, dei quali non so niente). Non assomiglia a davvero a niente di moda oggi (anche perché forse è una selezione da un archivio sterminato ed eterogeneo di brani), non è associabile a nulla di “nuovo”, se non per un sound spesso pieno e potente, una caratteristica che si trova in molto ambient di questi anni, decisamente poco rarefatto. Queste caratteristiche – originalità e forza – appaiono ovvie se si pensa a quanti decenni di musica quest’uomo abbia attraversato da protagonista e a quanto i suoi gruppi siano stati un’influenza sul noise/industrial rock, tanto che oggi gli Human Impact raccolgono quanto loro stessi hanno seminato per una vita. Meno scontato è un ambiguo senso di beatitudine che si prova ascoltando alcuni pezzi, ad esempio “Surface” o “Heat”: sembra che Coleman li abbia progettati in crescendo per sollevare in aria chi ascolta. Speciale poi la pace che ci regalano i riverberi di “5 AM”, sicuramente la miglior colonna sonora per le luci dell’alba dopo una notte insonne. Sorprendente, infine, la composizione di “In Decline”, che vorrei sentire suonata dagli Human Impact con un “bassista vero”. Più scontati per uno come lui – ma ugualmente buoni, occhio – gli abissi di “Smoke” e “Half” o le botte di “June”. Potrei fare la track by track, ma quest’album è davvero il forziere col tesoro dei pirati: saltano fuori gioielli di qualunque tipo e provenienza, meglio che qualcuno lo scopriate da soli, sarà più soddisfacente.