THE FEVERED, Blackout
In arrivo da Brisbane, quindi dall’altro capo del globo, i The Fevered scaricano sull’ascoltatore una colata di postcore tagliente come una lama frastagliata, in grado di lacerare la carne e lasciare cicatrici informi, tanto brutte a vedersi quanto dolorose ogni volta che cambia il tempo. Scariche di pura adrenalina si alternano ad aperture iniettate di calma apparente, ricche di feedback e tensione statica. Blackout è un lavoro che prende l’urgenza dell’hardcore e la tuffa nella violenza urbana del noise, dopo averla immersa a dovere nel metal meno coatto e stereotipato, una cosa che hanno già fatto in molti ma che alla formazione australiana riesce a dovere, senza che a nessuno rimanga il tempo di riflettere troppo sulla presenza di elementi innovativi o meno. Come un pugno improvviso in faccia che lascia increduli e stupiti, con il sangue che cola dal naso e quell’aria intontita di chi non ha ben chiaro cosa sia appena successo, nonostante di pugni se ne siano già presi molti e nonostante questa non sarà certo l’ultima volta che accade. Così è anche per le sei tracce di Blackout: pura aggressività, ora trattenuta ora rilasciata senza remore, costi quel che costi, accada ciò che deve accadere, con tanto di fischi all’inizio dei brani e strumenti che liberano l’energia elettrostatica in eccesso, le urla sgraziate e qualche svisata che ricorda il nitrito di un cavallo imbizzarrito. In poche parole, l’hardcore moderno come piace a noi.