Festival de-Affaire, 15/7/2012
Nijmegen (NL), Valkhofpark.
La storia dell’olandese Festival de-Affaire inizia nel 1994 e sembra essere quella di un evento capace di mantenersi ben organizzato nel tempo, diversificato e ricco. Particolare da sottolineare subito: è gratis e tutto inizia e finisce in orario. L’unica vera pecca della giornata del 15 luglio (ma il lungo programma è iniziato il 14 e finito il 20) sembra essere l’indole piuttosto compassata del pubblico, che non favorisce la tipica atmosfera da festival.
Dopo un giro in città, arrivo sulla collinetta del Valkhofpark, che ospita due dei cinque palchi. Aspetto la performance di Sharon Van Etten, che due inverni fa mi aveva incantato con Epic. Nel mentre, ignoro quasi totalmente ciò che non mi convince del tutto. Purtroppo anche un certo Lou: stanco, perso, poco efficace da solo sul grande palco principale, continua a ripetere di aver perso la voce coi Dinosaur Jr. la sera prima.
Poi sono presa alla sprovvista dall’ugola e dalla spontaneità di Jesca Hoop. Storyteller folk complessa e forse non sempre accessibile, ha di recente pubblicato un nuovo album, The House That Jack Built, di cui presenta alcune canzoni sul palco più piccolo del parco. Molto toccante e convincente in questa versione voce e chitarra, con le backing vocals di Rebecca Stephens (ex The Pipettes, ora nei Projectionists). Della perfetta fusione di questi tre elementi è un ottimo esempio “Whispering Light” (dal precedente Hunting My Dress), che rivela anche quanto le calzi la definizione di old soul datale da Tom Waits. Jesca introduce qualche pezzo con un racconto di vita vissuta, che scivola nella canzone stessa. Guida il pubblico passo passo in brani della sua autobiografia, ad esempio attraverso il grottesco racconto del braccio ingessato del fratellino che precede l’esecuzione di “Hospital (Win Your Love)”, uno dei singoli dell’ultimo lavoro. Accantonate per un momento gli album e i video ufficiali, però: la Hoop è molto più coinvolgente in questa versione live più minimale, pur sempre mantenendo la sua combinazione di classe ed eccentricità.
Sul palco principale si esibisce invece Sharon Van Etten. Il pubblico, un po’ freddo e distratto, sembra ora conquistato dalla sua musica, dall’interazione e dalla risata buffa dell’autrice statunitense. Piacevole vederla contenta di potersi esibire, apprezziamo il fatto di avere questa possibilità, e lei sembra dare più spessore alla sua performance. La formazione è affiatata, compatta, quasi senza sbavature, e i suoni sono bilanciati (portarsi da casa il fonico conviene). Come la Hoop, anche la Van Etten presenta principalmente le canzoni del nuovo album Tramp, ed è accompagnata da ottime backing vocals. Dal vivo le nuove composizioni mostrano la maturità del disco, ma perdono un po’ dell’intensità che avevano i precedenti Epic (2010) e Because I Was In Love (2009). L’ultimo lavoro ha di sicuro bisogno di più rodaggio live. Infatti è nei vecchi pezzi che Sharon si mostra pienamente concentrata. L’intensità e l’intimità sono recuperate totalmente con “Don’t Do It” e “I Fold”, che anche dal vivo hanno tutta la profondità dei vecchi album e rimandano con nitidezza alla loro natura di pagine di diario.
Dopo arrivano i Plants And Animals. Questi quattro canadesi mescolano indie-rock con istanze folk, pop, roots e southern. Sul palco riescono ad essere divertenti (in “Mercy” sembrano ricordare un pezzo come “Wonderful People” dei Q and Not U, ad esempio), svecchiando ciò che su disco non è poi così entusiasmante, a dirla tutta.
Il mio de-Affaire finisce qui, sicuramente troppo presto.