FERA, Stupidamutaforma
Bolognese d’adozione, Andrea De Franco nasce come illustratore, dotato di un segno essenziale e controllato, appena più che bambinesco. Quando suona si fa chiamare Fera, che in latino è la belva, l’animale selvatico, tutto ciò che esula dall’essere umano: Stupidamutaforma è il titolo del suo primo album, uscito su nastro marchiato Maple Death.
L’inizio fa pensare all’ennesima rimasticatura della grammatica idm, a uno dei molti epigoni di Aphex Twin o similari che periodicamente cercano di dire la loro, poi qualcosa comincia ad andare storto – e quindi drittissimo – e i bassi cominciano a slabbrarsi, gli oscillatori vanno fuori da ogni controllo (“Compress Depress”) e il crepitio di fondo si fa piacevole compagno di viaggio per una destinazione che sembra a questo punto sconosciuta (“Caliber Harp”): si comincia a fare fede al proprio nom de guerre e la belva entra in scena. In “Yung Leaf” il beat si fa largo fra la schiuma rumorosa, in un dato punto si sente chiaramente un’interferenza da telefonino che per una frazione di secondo ti riporta con i piedi al suolo prima di spararti di nuovo in orbita, quindi il decoupage hauntologico di “Muta”, la library allucinata di “Decline Harvest”, l’elettronica limacciosa di “Carefucker”, forse l’acme di un trip partito con i giri bassi e decollato alla grande pezzo dopo pezzo. Completano l’opera i cut off radicali di “Circadian Harp”, “Cura”, un canto delle sirene per navigatori già in deliquio, la sommessa “Funeral Flute” e le movenze gravi di “Forma”, che ci consegnano all’imperturbabilità degli spazi siderali.