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FEDERICO CALCAGNO OCTET, Mundus Inversus

Come si può comprendere dall’intestazione, non mancano accenti filosofici alla nuova opera di Federico Calcagno (clarone, clarinetto) e neppure eco-preoccupazioni per il nostro pianeta. Le suggestioni generate dalla pittura di Hieronymus Bosch e da una figura dei tarocchi, l’impiccato, contribuiscono a far scorrere buona parte dell’incisione lungo binari altalenanti, dove la sospensione e l’astrattezza combattono una gentile lotta contro attimi fiammeggianti e strutture ritmiche complicate.

L’ottetto messo in campo va visto come un ampliamento di una precedente formazione a cinque (per intenderci quella di Liquid Identities, Aut 2020), e forse per questo motivo le composizioni prendono sovente una piega ricercata – se ci è concesso anche un po’ troppo –, per quanto l’equilibrio tra parti scritte e improvvisate non venga mai meno e risulti essere in fin dei conti la carta vincente dell’intero disco. Al quale giova assai, sul piano della qualità intrinseca dei suoni, la dimensione transnazionale dell’ensemble coinvolto, che si avvale di Nabou Claerhout (trombone), José Soares (sax alto),  Pau Sola (cello), Aleksander Sever (vibrafono), Adrián Moncada (pianoforte), Pedro Ivo Ferreira (contrabbasso) e Nikos Thessalonikefs (batteria).

I crepacci fra gli esiti di un post-bop estremo e sonorità cameristico-contemporanee sono superati con intuito e agilità più che con la forza, e per quanto Calcagno ami indubbiamente la dimensione collettiva non dispiace quando si mette sul davanti della scena con feconda inventiva (“The Other Side Of Silence”).